Nel lungo cammino delle riforme del lavoro molto s’è fatto e molto resta ancora da fare. Più che un elenco delle prossime cose da fare, forse vale la pena riprendere l’esame della logica delle cose fatte, per capire meglio in quale direzione andare.
1. Non servono nuove leggi per riformare il mercato del lavoro. Si tratta semmai di completare il quadro esistente, con provvedimenti applicativi. Sia la legge Treu del 1997 che la legge Biagi del 2003, a partire dallo stesso Libro bianco, hanno disegnato l’architettura della riforma comparata del mercato del lavoro, che oggi ha bisogno di essere completata. Da un lato, va meglio chiarito l’uso delle diverse formule contrattuali di flessibilità, per evitare abusi o utilizzi scorretti; dall’altro va chiarito il ruolo del contratto a tempo determinato; dall’altro ancora va ripresa l’attenzione, con le relative risorse, per il rilancio della Borsa lavoro, strumento fondamentale non solo di “matching” domanda-offerta di lavoro, ma come strumento di interazione e di erogazione di servizi a persone e imprese.
2. La seconda operazione da compiere riguarda l’introduzione di un moderno sistema di ammortizzatori sociali, sia in termini di ammontare delle indennità di disoccupazione sia in ordine alla presenza dei servizi all’impiego, pubblici e privati, di accompagnamento di imprese e persone. La costruzione della rete dei servizi è la linea strategica di grande respiro, che permette di intervenire sia nei fabbisogni delle imprese sia nella ricerca di un nuovo lavoro da parte delle persone sia nei periodi di vacanza tra un lavoro e l’altro sia nelle strategie di cambiamento e ricollocazione professionale. La dimensione territoriale delle reti diventa un asse strategico imprescindibile.
3. La territorializzazione dei servizi al lavoro e delle reti è il segno del cambiamento culturale che a livello europeo, a partire dal Libro verde, sta andando in questa direzione. La sintesi dell’intervento è quella dello spostamento della difesa dei diritti del lavoro dal posto e dalla tipologia contrattuale al territorio e alla rete. Il diritto al lavoro diventa così sempre di più diritto ai servizi al lavoro, che si manifestano in una rete efficace di servizi di accompagnamento, pubblici e privati, che agevolino le strategie delle persone e quelle delle imprese.
4. L’orizzonte su cui uniformare culture e comportamenti resta quello disegnato dalla Conferenza di Lisbona. L’Italia deve raggiungere al più presto i target definiti, che riguardano in particolare il tasso di occupazione generale del 70% (siamo oggi al 58-59%); il tasso di occupazione femminile del 60% (siamo oggi al 46,9%); e il tasso di occupazione degli “over 55” che dovrà essere del 50% (siamo oggi sotto il 32%). Più che ripartire con altre nuove battaglie ideologiche su “staff leasing”, “job on call” e “Articolo 18”, varrebbe la pena sedersi tutti attorno a un tavolo per definire come raggiungere questi obiettivi.
5. La questione ormai esplosa a cui è imprescindibile porre mano è, infine, la cosiddetta questione salariale. Ripetutamente annunciata, ora è esplosa. Va ricordato che, grazie alla concertazione, in questi 10-15 anni vi è stato un “trade off” tra creazione di nuovi posti di lavoro e moderazione salariale. Così, a fronte della creazione di oltre tre milioni di posti di lavoro ha corrisposto una relativa immobilità dei salari che, sotto i colpi della speculazione finanziaria e della congiuntura internazionale, si sono robustamente assottigliati. La questione va presa di petto. Da un lato è necessario agire in emergenza, rincuorando la fiducia, con iniziative rivolte ai redditi più bassi, compresi quelli da pensione; dall’altro lato, va introdotto un modello contrattuale nuovo, che metta in correlazione positiva aumenti salariali e incrementi di produttività. C’è da augurarsi che nelle prossime settimane prevalga il pragmatismo della volontà rispetto all’ideologismo senza ragione.
(Walter Passerini, Direttore di www.lavoropervoi.com)