Continuo a leggere commenti che danno per scontata la fine di Alitalia, dopo la fine della trattativa con Air France. Non sono affatto d’accordo. La discussione si basa su una serie di assunti che nel circuito mediatico hanno raggiunto il livello di certezze indiscutibili, ma che ad una analisi un po’ più avvertita si rivelano privi di fondamento.
Il primo è che Alitalia è piccola. La compagnia di bandiera sarà anche piccola, ma il mercato italiano è grande come quello francese, ed appena un po’ più piccolo di quello tedesco. L’Italia è la quarta economia europea, un paradiso del turismo, ed è assolutamente in grado di reggere un grande vettore. Inoltre, Alitalia, se acquisita da Air One diventerebbe già da subito meno piccola.
Il secondo assunto è che due hub (Malpensa e Fiumicino) non possono coesistere. Se è così come mai tutti i vettori europei centro-continentali si sviluppano su due hub vicini? Così fa Air France-Klm con Parigi e Amsterdam; così fa Lufthansa con Francoforte e Monaco. Le sole eccezioni sono British Airways, che ha solo Londra, e Iberia, che ha solo Madrid. Ma l’eccezione conferma la regola: quei mercati, per loro conformazione, non consentono alternative. Un modello bipolare, con Malpensa più concentrata sul business e Fiumicino più sul leasure, può permettere una perfetta convivenza.
In terzo luogo, si sostiene che il personale di Alitalia è una palla al piede insuperabile. Non bisogna dimenticare però che la storia delle privatizzazioni italiane è piena di aziende ipersindacalizzate che si sono messe in riga non appena è arrivato un “padrone” che ha avuto il coraggio di esercitare la sua responsabilità di capo azienda. Valga per tutti l’esempio della siderurgia data in mano ai Riva. Non va poi dimenticato che la situazione sindacale rende Alitalia un’opportunità d’affari unica nel panorama europeo, perché lascia intravedere enormi margini di miglioramento nell’efficienza della gestione industriale. Inoltre, è possibile valorizzare e rendere competitivi servizi a terra oggi considerati una mera fonte di perdite: ad esempio, i servizi di manutenzione, data la centralità dell’Italia rispetto al bacino del Mediterraneo, possono essere offerti a vettori stranieri a prezzi più competitivi di altri paesi.
Infine, si ricorda che il costo del carburante è diventato proibitivo. Ma è un problema che riguarda tutti i vettori e non solo Alitalia.
Bisognerebbe smetterla con il vittimismo. La vicenda di Alitalia presenta ben altri problemi.
Il primo: Alitalia si può salvare solo se la compra Air One, perché è un operatore industriale e perché ha opzionato l’aquisto di 80 velivoli, che nei prossimi anni sono una risorsa assolutamente scarsa e servono a rinnovare la flotta.
Il secondo: Toto da solo, però, non ce la può fare. Occorrono, infatti, circa un miliardo di euro per sostenere la ristrutturazione, 700 milioni per comprare le obbligazioni convertibili sul mercato e forse 500 milioni per lanciare l’Opa e non lasciare a mani vuote gli azionisti (specie dopo che Air France gli ha lasciato intravedere la possibilità di portare a casa qualcosa nell’ambito dell’Ops). In totale servirebbero circa 2,2 miliardi di euro. Solo il concorso tra grandi istituzioni finanziarie e alcuni anchor investors (per esempio il fondo F2i?) può sostenere questa spesa.
Il terzo: occorre che Toto sia cosciente del fatto che, nell’eventuale fusione, la sua compagnia varrebbe, ma non quanto crede lui. Soprattutto se qualcun altro porta i fondi necessari e lui fornisce gli assets. Ma per fare questo ci vuole l’autorevolezza di una politica che sposi il progetto e lo voglia, esattamente quel che non è finora avvenuto.
Sono convinto che una gestione privata che incida sulla produttività del lavoro, sulla qualità del servizio, sui costi controllabili e che si possa avvalere della flotta di aerei prenotata da Air One nei prossimi anni creerà in breve tempo una delle maggiori e migliori compagnie europee.
È vero, si può vivere anche senza una compagnia di bandiera, ma si vive peggio. Ritengo che una politica forte e determinata sia in grado di chiamare i protagonisti di questa vicenda (imprenditori, banchieri e sindacati) ad assumersi le loro responsabilità in una grande operazione che ha, non si può non riconoscerlo, anche una enorme valenza simbolica.