Complice una congiuntura internazionale favorevole, buona parte dei governi dell’area hanno ufficialmente espresso il loro interesse a ricercare forme di cooperazione internazionale per sviluppare la produzione di energia dall’atomo.

La strada è stata aperta nel dicembre 2006 da un documento siglato da tutti i membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc – Gulf Cooperation Council), l’Organismo di coordinamento delle politiche economiche e commerciali fondato nel 1981 tra i governi di Oman, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti.



Più che per la sua capacità di leverage sulle dinamiche politiche ed economiche globali, ciò che rende l’integrazione promossa dal Gcc interessante è il suo peso relativo in termini di economia regionale. A breve, il Pil pro-capite dell’area Gcc supererà quello del Lussemburgo. E, in prospettiva, vista la caratterizzazione economica e produttiva legata all’esportazione di petrolio e gas naturale, la crescita potrebbe essere ancora più significativa.



In tale contesto di marcata “monocoltura” economica va inquadrato il progetto per la valorizzazione di asset nucleari nella regione. Qualche settimana fa, il governo degli Emirati Arabi Uniti ha approvato un piano di investimenti per 100 milioni di dollari per la realizzazione di un’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’energia nucleare. Ad aiutare gli Emirati sarà la Francia. Quasi contemporaneamente, il Bahrein ha siglato un MoU (Memorandum of Understanding) con gli Stati Uniti per lo sviluppo di un progetto di cooperazione nel comparto nucleare. Si riapre con forza il tema della proliferazione nucleare, con particolare riguardo al delicato dossier iraniano. L’acquisizione di capacità nucleari da parte dei governi del Gcc appare, in tale contesto, come una minaccia ed un’opportunità. Da un lato, infatti, essa potrebbe persuadere l’Iran sulla possibilità di perseguire una via diplomaticamente accettabile per l’acquisizione di capacità tecnologiche per l’arricchimento dell’uranio a scopi civili. Dall’altro, però, essa stimolerebbe ancora di più una proliferazione nucleare di fatto in tutto il Medio Oriente allargato ed aprirebbe una nuova corsa agli armamenti.



I colloqui della scorsa settimana a Shanghai, ennesima tappa di uno sforzo internazionale per contenere l’Iran, si sono conclusi con le usuali dichiarazioni di rito, che poco spazio lasciano alla concreta possibilità di giungere ad una risoluzione consensuale del controverso dossier nucleare. E ciò fa presagire una nuova stagione di minacce incrociate che dovrebbero mantenersi tuttavia ancora entro il livello di guardia. Le elezioni per la Casa Bianca, infatti, lasceranno congelato lo scacchiere geostrategico per i prossimi mesi, nell’attesa che da Washington arrivino i primi segnali di un possibile nuovo corso in politica estera. Che si stia aprendo una nuova fase legata ad una “diplomazia nucleare” è indiscutibile. Così come è evidente che questa fase lasci molti nodi da sciogliere. Se Teheran deciderà di affidarsi alla collaborazione internazionale, aprendo le porte agli ispettori dell’Aiea, dimostrando la bona fide rispetto agli scopi pacifici del suo programma nucleare, allora troverà senza dubbio una sponda in precedenti importanti, proprio nel resto del Golfo Persico. Se, invece, la tensione dovesse tornare a salire, magari fino ad un livello di guardia inaccettabile per il proseguo delle sole iniziative politico- diplomatiche, allora l’intero progetto di integrazione energetica nel Golfo Persico verrebbe stoppato, innanzitutto dagli Stati Uniti.

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