L’emergenza alimentare di cui si parla sempre più in questi giorni sembra avere contorni decisamente preoccupanti: è solo uno dei tanti allarmi che poi svaniscono nel vuoto, oppure la cosa ha veramente proporzioni così grandi? Ne risentiranno solo i paesi poveri o anche il mondo più “avanzato”?

La risposta è anzitutto sì: il problema c’è, ed è serio. Riguarda soprattutto i Paesi nei quali la quota di spesa alimentare è elevata, rispetto alla spesa totale della famiglia, come tipicamente accade nei Paesi più poveri. In questi casi, essendo già molto elevata la spesa per i beni alimentari, anche un aumento limitato nel tempo, ad esempio per sei mesi, può avere effetti disastrosi. Sia in termini di sopravvivenza, sia (ed è il problema grave della nostra epoca) in termini di malnutrizione.
Il problema dunque c’è; la questione è quella di capire in che misura ci troviamo di fronte a una svolta veramente epocale. Ci troviamo di fronte a una sorta di inflazione di tutto ciò che è energia, sia nel senso del petrolio, sia nel senso di tutto ciò che produce energia fisica e umana. Gli alimenti sono anch’essi energia, in questo senso.



Come è possibile che un allarme così forte scoppi tutto a un tratto? La cosa era già in corso ma semplicemente non se ne parlava?

La crescita dei prezzi petroliferi non è stata improvvisa, ma va avanti ormai da tre anni. Il prezzo del petrolio in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, aveva raggiunto il massimo agli inizi degli anni Ottanta, quando il valore reale era intorno ai 105 dollari. Quindi, da un paio di mesi, il petrolio è il più costoso di tutti i tempi. Se non ché l’aumento del prezzo del petrolio entra in una quantità di altri processi produttivi, che sono in primo luogo tutta la produzione agricola e animale, di carne; in secondo luogo, e questo è il punto più forte, il progressivo spostamento di terreni arabili per biocarburanti, etanolo in particolare, è stato di proporzioni molto elevate. Quello su cui ancora non si discute abbastanza è perché tutto questo è avvenuto. Ad esempio, il prezzo del grano negli ultimi venti giorni è diminuito e non di poco (e questo non si dice), perché l’Ucraina ha aperto all’esportazioni. Nel frattempo però è aumentato più che proporzionalmente il prezzo del riso. Allora che cosa c’è all’opera in questo caso? Ci sono oscillazioni violente nei prezzi che rimandano al fondato sospetto che, a partire da fattori strutturali, ci siano i classici movimenti speculativi, con contratti di vario genere, come i “future” sui mercati agricoli, che a parere mio, ma non solo, hanno una notevole influenza. I diretti interessi dicono di no, dicono che è semplicemente la domanda e l’offerta. Ma indubbiamente è ragionevole pensare che salti di questo genere dei prezzi siano di natura speculativa.



Si sostiene che l’emergenza derivi anche dall’utilizzo di materie prime alimentari per la produzione di biocarburanti. È così? Si può ipotizzare che dietro alla speculazione sui prezzi delle materie prime alimentari ci siano i produttori di petrolio, che vogliono bloccare l’utilizzo di biocarburanti?

Tutte le ipotesi sono aperte. Ce n’è un’altra, altrettanto paradossale, che mi è capitato di leggere sul Wall Street Journal: dietro a queste scommesse sul mercato delle commodities ci sarebbero anche dei fondi pensione. Non è “fantaeconomia”; ma dobbiamo ammettere che saremmo veramente al paradosso, se per garantire il rendimento alle pensioni americane si mandassero alle stelle i prezzi dei cereali. C’è una premessa da fare: checché se ne dica, il raccolto di cereali dell’anno scorso è stato buono, e ha registrato un aumento. Non stiamo dunque parlando di una situazione maltusiana di mancanza di cibo: stiamo parlando di destinazione diversa della produzione. C’è un’immagine dell’ultimo rapporto della Banca Mondiale che è destinata a rimanere nei libri di testo. In questo rapporto c’è una sezione dedicata ai biocarburanti la quale mette in luce che con il grano necessario per il pieno di etanolo di un Suv può vivere una persona per un anno. Questo è per catturare un po’ l’immaginazione, per rendere più concreto il problema. Per quanto riguarda i Paesi produttori di petrolio, è vero che alimentano questa spirale perversa di deprezzamento delle quotazioni del dollaro sul mercato internazionale. Se ci siano poi manovre speculative per arginare la concorrenza dei biocarburanti, non saprei, ma non mi stupirebbe. Diciamo che non è per nulla un’ipotesi peregrina.



Quali sono le prime soluzioni politiche ed economiche da adottare per arginare il fenomeno speculativo?

Guardiamo al timing di quello che sta accadendo: la crisi dei subprime nasce in agosto dell’anno scorso, negli Usa prima e nel mondo poi. Il pericolo che Bernanke ha messo in primo piano è non tanto quello della recessione, ma l’effetto di contagio. Il timore è una crisi di proporzioni mondiali, come quella del ’29: di fronte a crisi di queste dimensioni, il pericolo del contagio fa presa, e tutti gli altri pericoli vengono dopo. Allora la Fed ha alzato i tassi, gradualmente, per frenare la grande bolla speculativa del settore immobiliare. Quando quella bolla è scoppiata, è cominciata la svolta, che potrebbe riguardare anche l’Europa. Per sanare una situazione di questo genere, ed evitare il contagio, bisogna innanzitutto evitare che si verifichino crisi e fallimenti, principalmente nel sistema bancario. E l’unico modo è far sì che chi sta per fallire abbia la liquidità che gli permetta di andare avanti. Ecco allora che la Fed ha abbassato i tassi per aumentare liquidità. Se non che, però, la liquidità è anche il carburante di tutte queste grandi manovre speculative mondiali. Ci vuole dunque una buona regolamentazione. Dietro a queste manovre ci possono essere sì i fondi pensione, come accennato, ma ci sono soprattutto gli hedge fund, che rappresentano una sorta di sistema bancario parallelo a livello mondiale, enorme per dimensione di liquidità e di leva. Quel tanto di liquidità che è stata sottratta è stata data a tutti, compresi questi fondi. Motivo per cui occorre un intervento coordinato delle banche centrali. La Bce, che è tanto criticata, in realtà si sta comportando nel mondo giusto: fornire liquidità quando è necessaria, ma avere come riferimento l’inflazione, che è una falcidia per i redditi bassi.

Come valuta l’ipotesi di prestiti ai Paesi poveri ipotizzata dal Fmi? E più in generale cosa dovrebbero fare le organizzazioni internazionali per aiutare i Paesi poveri?

Quello degli aiuti ai Paesi poveri è un terreno minato: il rischio di sprecare le risorse è dietro l’angolo, perché i problemi istituzionali esistono e non possono essere sottovalutati. L’emergenza è tuttavia molto forte, ed è una situazione in cui strumenti finalizzati di intervento da parte del Fmi sono necessari. Se il Fmi ha le risorse per farlo, questo è il momento di usarle.

Il fenomeno colpisce anche i paesi “ricchi”. Wal-mart (catena grande distribuzione), per esempio, ha cominciato a razionare le vendite di riso. Come mai questa situazione anche nei paesi “ricchi” e cosa si può fare per alleviare il problema?

C’è un problema serio anche nei Paesi sviluppati. Il problema può essere alleviato solo con strutture da noi già operative, come ad esempio il Banco Alimentare, che è certamente la realtà più efficiente; e realtà analoghe ci sono anche negli Stati Uniti. Ci vuole poi una politica coordinata pubblico-privato, che in parallelo vada a rispondere al problema.

(Foto: Imagoeconomica)