Il grave turbamento che agita da mesi i mercati finanziari e che ha visto, da ultimo, il crollo del lunedì 17 marzo scorso (qualcuno ha parlato di tsunami finanziario), pone all’ultimo acquirente/consumatore, ossia al comune risparmiatore, un interrogativo drammatico sul destino dei propri risparmi, che per molti, pensiamo alla popolazione anziana, è un interrogativo sulla stessa possibilità di sussistenza.
L’allarme è aumentato a seguito delle recenti notizie sui pericoli di default di grosse banche americane, svizzere e inglesi. La domanda ricorrente nella grande stampa è bene espressa nel titolo di prima pagina del Corriere della sera del 18 marzo scorso. “È come il 1929 ?” (F. Fubini) e la stessa domanda ricorre tra gli analisti specializzati, distinti tra pessimisti (come A. Greenspan, N. Rubini, V. Reinhart, A. Alesina) e ottimisti (come G.C. Trichet, A. Giovannini, A. Cohen, S. Cecchetti).
Ma in modo radicale la domanda che occorre farsi concerne la natura della crisi (cfr. A. Quadrio Curzio sul Sole 24 Ore del 23 marzo), se essa sia contingente e transeunte o invece strutturale o sistemica. Nel primo caso aggiustamenti e risanamenti operati nei settori economici malati sarebbero sufficienti a cambiare il corso dei mercati, nel secondo caso invece occorrerebbero cambiamenti di rotta nelle istituzioni e riforme da attuare probabilmente non solo nel campo dei mercati finanziari.
I ragionamenti dei commentatori e degli analisti economici si muovono, nella stragrande prevalenza, secondo la visuale della natura contingente della crisi. Essi fanno affidamento nella costruzione di modelli matematici basati su assunti di convenienza e applicati, oltre che al campo economico, anche a quello finanziario. La razionalità dei modelli presuppone la più ampia possibilità di movimento dei capitali e dei contratti che vi hanno riguardo, la libertà della creazione di strumenti finanziari e il loro utilizzo il più possibile indifferenziato e autonomo rispetto agli scopi produttivi o commerciali cui gli stessi strumenti sono connessi nel momento della loro nascita.
Il processo di astrazione che dà luogo ai prodotti finanziari e alla loro circolazione tende sempre più a oscurare e in definitiva a superare il nesso originario di strumentalità di qualsiasi operazione finanziaria. Non si può tuttavia negare che la pretesa di totale superamento del nesso con la sottostante causa economica è intimamente contradditoria con lo stesso concetto di strumento finanziario, che ne imporrebbe un condizionamento strutturale rispetto al fine.
È a questo punto che si dimostra utile la riflessione di un giurista dell’economia particolarmente sensibile agli aspetti istituzionali.
La crisi occorsa agli istituti bancari nel 1929, particolarmente in Italia (in particolare Banco di Roma, Credito Italiano e Banca Commerciale Italiana), fu una conseguenza dell’appesantimento dovuto, prima al massiccio finanziamento delle imprese in difficoltà, poi alla trasformazione dei finanziamenti in partecipazioni; in altri termini la crisi bancaria fu conseguente a quella dei settori produttivi. Oggi la crisi degli istituti bancari deriva direttamente da loro comportamenti sui mercati finanziari, ossia dalle operazioni compiute per la creazione di asset-backed securities, in particolare per la cartolarizzazione dei mutui cosiddetti subprime. Nel caso del 1929 la strumentalità del momento finanziario rispetto alla produzione era di tutta evidenza e apparteneva alla logica delle cose che la crisi della produzione coinvolgesse quella delle banche finanziatrici. I rimedi che i legislatori apprestarono in conseguenza di quella grande crisi furono, come noto, orientati dal concetto della separazione fra mondo delle banche e mondo delle imprese e da quello della distinzione anche patrimoniale tra credito ordinario e credito speciale.
Oggi il fenomeno è diverso. La crisi appare collegata a quelle che un tempo erano le normali funzioni delle banche, ossia all’esercizio del credito minuto a breve e al credito per la casa. La cartolarizzazione dei crediti con emissione di titoli sul mercato è diventata normale sistema di provvista, sostituendosi progressivamente a forme tradizionali, più propriamente bancarie. Si tratta, in effetti, di un sistema di provvista che addossa (immediatamente) all’ultimo risparmiatore il rischio di insolvenza del credito anche se questo – mediatamente – si ripercuote sugli emittenti. Le banche peraltro hanno mostrato incapacità nel controllo appropriato dei volumi di liquidità e un’eccessiva soggezione all’andamento dei titoli emessi dalle loro società controllate o collegate. La crisi odierna, quindi, è propriamente crisi del sistema finanziario e tuttavia, a causa della forte connessione con il sistema produttivo, essa può ripercuotersi e avere gravi conseguenze su quest’ultimo, specie quando il sistema finanziario non sia più in grado di dare adeguato respiro agli investimenti.
Non si vuol qui concludere che l’attuale crisi sia strutturale o sistemica (per il che l’indagine dovrebbe essere ben più allargata e approfondita) ma semplicemente che essa ha messo a nudo carenze gravi delle strutture istituzionali di controllo e non solo di queste.
Evidente come da questa riflessione scaturisca la necessità di porre al centro il problema dei controlli, innanzitutto diretti ai prodotti e agli strumenti finanziari e secondariamente ai mercati e alle piattaforme di negoziazione (che invece con le direttive Mifid hanno subito un processo di liberalizzazione). Ma, oltre al problema dei controlli, la riflessione istituzionale si dovrebbe indirizzare a riesaminare il problema della struttura dei fondi, delle procedure di cartolarizzazione e, non ultimo, il problema del ruolo delle banche e della loro responsabilità nel controllo del nesso di strumentalità tra prodotti e operazioni economiche finanziate. Il mondo bancario e finanziario sembra stia iniziando a reagire su questo piano, se si osserva che si sta svolgendo in questi giorni a Roma una riunione del Fynancial stability forum che riunisce i maggiori organismi preposti al controllo e alla stabilità dei mercati e che vede all’ordine del giorno i problemi della struttura della vigilanza, gli elementi di base del modello bancario e finanziario, il rating, la trasparenza ecc.
Curioso che un tema di questo genere, centrale per la tutela del risparmio e quindi per il sostegno della capacità di acquisto dei cittadini, sia praticamente assente nei programmi dei partiti italiani e nel dibattito preelettorale. L’unica eccezione che è stata capace di risollevare il dibattito ai grandi problemi dell’economia e della finanza è il saggio di Giulio Tremonti (La paura e la speranza) che ha condotto una critica forte al “mercatismo” e alla “globalizzazione selvaggia”. Nella campagna elettorale americana il tema sta invece occupando sempre più spazio. Obama ha chiesto per il sistema bancario e finanziario regole molto più rigide di quelle attuali e progetti di riforma istituzionale che sono allo studio di esperti e personalità eminenti.



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