Le recenti stime del Fmi sulla crescita italiana prevista per il 2008 sono impietose: 0.3% per l’Italia e 1.3% per la zona dell’Euro. Il governatore della Banca d’Italia Draghi ha sottolineato come tali previsioni siano eccessivamente pessimistiche e analogamente Junker, presidente dell’Eurogruppo, ha ribadito che le previsioni per l’Europa sono più ottimistiche. La guerra di cifre è comprensibile dato che le previsioni dei vari istituti sono effettuate con modelli diversi che verosimilmente generano risultati diversi.
Purtroppo la sostanza non cambia: l’Italia nel 2008 crescerà poco, molto meno di quanto abbia fatto negli anni precedenti. Anche le stime di Banca d’Italia effettuate a Gennaio non erano certo ottimistiche: prevedevano una crescita dell’1%, ma verranno probabilmente riviste verso il basso. È chiaro che la situazione congiunturale internazionale non è felice: la scarsa domanda a livello internazionale penalizza molto il nostro paese fortemente dipendente dalle esportazioni. È tuttavia altrettanto evidente che la congiuntura internazionale non è l’unica spiegazione della scarsa performance della nostra economia; con l’eccezione del 2000, dal 1996 ad oggi la crescita italiana non è mai stata superiore al 2% e le previsioni per i prossimi anni non sembrano suggerire una variazione significativa rispetto a questo trend. Ne consegue che la scarsa crescita è da attribuire a fenomeni di carattere strutturale, anziché congiunturale.
Nel suo intervento il governatore Draghi si è detto molto preoccupato dall’inflazione. Essa è un segnale estremamente negativo anche in chiave di crescita: in presenza di un sistema di cambi fissi (l’Euro) se abbiamo un tasso di inflazione superiore a quello dei nostri partner europei, il nostro tasso di cambio reale si apprezza e perdiamo competitività nei loro confronti. Questo fenomeno penalizza ulteriormente le nostre esportazioni che hanno alimentato la domanda complessiva, a fronte di una domanda interna sostanzialmente piatta da diversi anni.
Tutte queste notizie arrivano alla fine di una campagna elettorale in cui tutti i partiti espongono le proprie ricette per guarire la nostra economia. È evidente a tutti che la situazione è critica e che le riforme necessarie sono profonde e interessano diversi aspetti del nostro sistema economico e sociale. Occorre rimboccarsi le maniche. Da subito.



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