Alitalia deve fallire. Non perché sia divertente la prospettiva né perché vi sia una sorta di voglia di rivalsa del cittadino/contribuente dopo anni di prestiti a fondo perso verso la compagnia di bandiera. Alitalia deve fallire, essere commissariata e quindi usufruire della Marzano per una sola ragione. E cioè che questo è l’unico modo per avere una vera e proprio svolta liberista, poiché l’accesso alla legge Marzano impone taglio delle spese e l’obbligo di introitare più di quanto si spenda. Il duro attacco di British Airways che, a poche ore dall’annuncio del prestito ponte dello Stato italiano, ha reso noto che vigilerà con attenzione sull’intera vicenda non è un’indebita intromissione in faccende che non la riguardano ma bensì un bagno, salutare, di concorrenza leale. Anche British Airways, infatti, esattamente come Alitalia ha attraversato una pesante crisi che ha superato in un solo modo: dimezzando le spese e tagliando la metà del personale, da 22mila a 11mila dipendenti. Così Swissair, così Sabena. Attraverso la logica del prestito ponte o della fantomatica cordata italiana, invece, si punta a toccare il meno possibile gli sprechi esorbitanti dell’ex compagnia di bandiera e quindi a mantenere vive rendite di posizione inaccettabili per non inimicarsi un bacino elettorale di 20mila dipendenti più famiglie, e coltivare una lobby esattamente come fatto da Gianni Alemanno con i taxisti romani, fedeli scudieri ma anche affossatori delle liberalizzazioni che renderebbero questo paese normale, moderno e funzionante.



Gli italiani, quindi, devono sperare che Bruxelles – come sembra che voglia fare – dica no a questo ennesimo aiuto di Stato e bocci il prestito ponte, portando Alitalia verso il destino che compete alle aziende private che fanno rosso invece che utile. Anche perché, ad una prima occhiata tecnica, quel prestito non è compatibile con la disciplina europea degli aiuti di Stato alle imprese. Pur non essendo possibile, in questa sede, entrare nel merito di una vicenda di grande complessità – peraltro ancora in fieri, considerato che spetterà al nuovo esecutivo dare spiegazioni all’Unione europea – è comunque opportuno fornire qualche indicazione.



Il prestito, come configurato nel decreto-legge n. 80 del 2008, può apparire, a prima vista, un aiuto di Stato. Infatti, vi è certamente sia l’attribuzione di carattere patrimoniale concessa dallo Stato, sia il “vantaggio” che favorisce un’impresa. Manca ancora il terzo tassello in grado di dimostrare che quello concesso all’azienda sia un aiuto di Stato vietato dal Trattato Ce, e cioè, il fatto che questo sia idoneo ad alterare la concorrenza nel mercato comune. Come noto, sull’ultimo tassello la parola spetta alla Commissione.

Peraltro, prima della pronuncia della Commissione – che ci dirà se il prestito è conforme o meno al Trattato – Alitalia non dovrebbe poter beneficiare dell’aiuto come invece sta già facendo visto che il bonifico da 300 milioni di euro è già stato accreditato. Infatti, l’art. 3 del reg. n. 659/1999 (cosiddetta clausola di standstill) dispone che agli aiuti soggetti a notifica non può essere data esecuzione prima che la Commissione abbia adottato, o sia giustificato ritenere che abbia adottato, una decisione di autorizzazione dell’incentivo. In ciò, a ben vedere, risiede il primo elemento di criticità del provvedimento, che è stato posto in essere attraverso un decreto-legge (ex articolo 77 della Costituzione) entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (e quindi con immediata fruibilità, a partire da tale momento, dell’aiuto). Meglio sarebbe stato inviare prima il progetto alle Autorità comunitarie in attesa di una loro decisione e, successivamente, erogare l’aiuto. Inoltre, si può evidenziare come l’aiuto non rientri nelle ipotesi di compatibilità previste dall’articolo 87, comma 2 del Trattato, ovvero aiuti a carattere sociale; aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania post-unificazione.



Insomma, tutto – buonsenso in testa – dice che Alitalia deve passare per le forche caudine del mercato per rinascere e diventare un player nel mercato internazionale. Sarà duro e doloroso, certo, ma necessario. L’Italia deve voltare pagina e questa è la prima occasione per provare a farlo. Speriamo che il nuovo governo lo capisca prima di proseguire con iniziative pasticciate e nazionalistiche.

(Foto: Imagoeconomica)