In occasione del documento unitario sui contratti si è parlato di una “svolta storica” per le relazioni sindacali e la Cisl può rivendicare buona parte del merito. Qual è, secondo lei, il punto più innovativo tra quelli raggiunti? E quello, a suo modo di vedere, “più debole”?

Non ci sono punti più innovativi e punti più deboli nell’intesa che Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto sulla riforma contrattuale. L’intento è quello di rafforzare le garanzie dei lavoratori, far crescere i salari legandoli alla maggiore produttività, riscrivere le regole della democrazia sindacale: sono questi i tre punti decisivi per un sindacalismo moderno in cui Cgil, Cisl e Uil credono fermamente e si riconoscono. L’augurio è quello di riuscire a mettere in pratica questi tre punti arrivando così ad un’unità di gran lunga superiore a quella vissuta nel passato. Se tutto procederà come previsto potremo dire di aver costruito un nuovo sindacato più coeso e maggiormente responsabile.



Avete dovuto “cedere” o rinunciare a qualche obiettivo che avevate preventivato? Su che cosa si sarebbe potuto fare di più?

Ad un accordo così si giunge con molto lavoro e con una lunga mediazione. È un punto di partenza e non di arrivo. Il nostro “fare di più” consiste nel veder messo in pratica quanto auspichiamo si ottenga: nuovi contratti che consentano di ridistribuire meglio la ricchezza tra i lavoratori, oggi ingiustamente penalizzati da una pressione fiscale troppo elevata, un livello nazionale che combatta il carovita, uno aziendale o in alternativa territoriale, incentivato da una tassazione minore per rendere più pesanti le buste paga.



Che cosa ha impedito finora, secondo lei, il raggiungimento di una posizione unitaria dopo la rottura del 2004? È una fase definitivamente archiviata?

In passato ci sono stati pregiudiziali ideologiche e veti da una parte del sindacato che hanno reso difficile una sintesi unitaria. Oggi c’è più pragmatismo e più collaborazione. Questo mi sembra un periodo particolarmente fruttuoso e positivo per il sindacato. Mentre tutto il mondo è in difficoltà, l’universo sindacale si rinnova tanto da produrre una sua posizione su ciò che pareva inconciliabile. Ho sempre creduto che la realtà pluralistica sindacale italiana avrebbe lavorato per giungere ad una convergenza e ad una sintesi. Questo oggi è avvenuto e ne sono soddisfatto. L’unità, gli unanimi propositi dichiarati e condensati nel documento sono un fatto molto importante.



Quali sono secondo lei i primi obiettivi ai quali dovrà puntare il nuovo tavolo di trattative tra sindacati e imprese?

Inizieremo da tre semplici punti: lo sfoltimento del numero dei contratti, costruire un nuovo sistema di rilevazione dell’inflazione più vicino all’inflazione reale ed ai bisogni di lavoratori e pensionati, abbattere le tasse sul secondo livello. La questione centrale ruota attorno agli stipendi da lavoro dipendente. Per farli crescere si può agire subito su due versanti: detassando gli straordinari senza escludere la tredicesima ed eliminando il prelievo fiscale su tutto quello che si pattuisce a livello aziendale: solo così, infatti, trarranno benefici sia l’impresa che i lavoratori. La nostra proposta prevede, da una parte, il mantenimento del classico sistema basato su due contratti, quello nazionale e quello decentrato; dall’altra, un rafforzamento di entrambi. Il livello nazionale, in base ad un’inflazione “realisticamente prevedibile”, dovrà vigilare sul potere d’acquisto dei salari inserendo nel paniere di calcolo anche il “peso dei mutui”. Il secondo contratto dovrà essere territoriale o aziendale per distribuire aumenti legati a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza, efficacia. La durata contrattuale scenderà da 4 a 3 anni, facendo innalzare da 2 a 3 il periodo di validità delle intese economiche. Vorrei poi sentir parlare concretamente di sicurezza attraverso la messa al bando di tutte quelle imprese che, giocando al massimo ribasso, espongono i lavoratori al rischio della morte e procurano un danno alle aziende virtuose, distorcendo le regole della concorrenza.

Per finire: qual è la prima emergenza del nostro mercato del lavoro?

L’obiettivo principale è quello di aumentare il tasso di occupazione generale incrementando quello delle regioni del Sud, delle donne, dei giovani, dei lavoratori anziani. Il contratto a tempo indeterminato è la forma comune di rapporto di lavoro e dovrà essere sostenuto ed incentivato attraverso differenziali di costo per favorire la stabilizzazione dei contratti temporanei ed atipici. La lotta all’economia sommersa, irregolare o illegale, è un altro tema prioritario. Centrali anche i progetti mirati a favorire l’inserimento lavorativo dei giovani diplomati e laureati mediante tirocini nelle aziende, attraverso un rapporto più intenso tra istruzione, formazione e futuro impiego. Tutte queste misure posso essere pienamente efficaci solo attraverso un’interazione tra soggetti istituzionali e parti sociali.