Strano Paese, il nostro. Anziché cercare di gestire l’ordinario, siamo sempre in balia di un qualcosa di straordinario.
E così andiamo avanti, emergenza dopo emergenza; col risultato che la sindrome del momento fa scordare momentaneamente le precedenti, e nessuna viene realmente risolta.
Un po’ come se una donna di servizio per fronteggiare “l’emergenza cucina”, nascondesse stoviglie e piatti sporchi sotto il lavello; per poi dedicarsi all’emergenza salotto, dove potrebbe accumulare montagne di polvere sotto il tappeto e passare così a contrastare l’emergenza bagno spruzzando abbondanti dosi di deodorante per ambienti.
Qual è la priorità? Ce lo siamo scordati. Emergenza sicurezza sul lavoro? Emergenza Rom? Emergenza immondizia? Emergenza “non si arriva a fine mese”? Emergenza Alitalia?
Ha fatto davvero bene Berlusconi ad affidarsi al buon Dio!
Berlusconi e Veltroni hanno avuto nei giorni scorsi un colloquio privato di quasi un’ora, dove (a quanto pare) sembra essere emersa una sostanziale concordanza su quelle che sono le priorità da appuntare sull’agenda politica. Innanzitutto le riforme utili a “velocizzare” il Paese, ma anche la catastrofica situazione Campania.
L’unico divario di opinioni c’è stato su Alitalia, in quanto Veltroni ha ribadito che a suo modo di vedere «sia stato un gravissimo errore aver fatto andar via Air France, ed ora mi auguro che il nuovo governo abbia pronta una soluzione alternativa adeguata».
Cinica (ma verosimile) traduzione dal veltronese all’italiano: noi avevamo quasi sistemato la patata bollente, in un modo o nell’altro, passando la rognosa gestione di quasi ventimila dipendenti ai francesi. Tu ci hai mandato tutto a monte, millantato questa benedetta cordata per tutta la campagna elettorale, e per ora non abbiamo ancora visto nulla. Adesso siamo all’opposizione e ormai sono solo…affari tuoi.
Sul fronte del governo, il ministro dell’economia Tremonti ha le idee altrettanto chiare: «Il rischio per la nostra economia che la compagnia di bandiera finisse in mano ad un concorrente nel turismo è stato evitato. Per Alitalia noi cerchiamo una soluzione fondamentalmente italiana e fondamentalmente privata. Se non funziona vedremo».
Non si può certo dargli torto. Più che altro preoccupa non poco quel «se non funziona vedremo».
Lo stesso presidente del Consiglio sa bene che il tempo del bluff è finito, e nel suo discorso di fiducia alle camere ha chiaramente ribadito che «risolveremo positivamente la crisi di Alitalia, senza svendite, nè rinazionalizzazioni, con il contributo decisivo degli imprenditori italiani. Faccio appello al contributo decisivo della finanza e dell’impresa italiane che hanno tutto da guadagnare e niente da perdere da un Paese più moderno ed efficiente e da un sistema di infrastrutture e di trasporti adeguato ai bisogni e al rango della nostra economia».
Non si può certo non elogiare il Cavaliere per la tenacia con la quale, assieme al fido Ermolli, sta lavorando sul caso Alitalia.
Prove concrete di questa volontà sono anche l’essere riuscito in sede europea a far slittare dal 19 al 30 maggio il termine entro il quale il Governo dovrà fornire informazioni a Bruxelles sul prestito pubblico da 300 milioni di euro erogato alla compagnia, ed all’essere riuscito a far assegnare il portafoglio per i Trasporti, e non più quello per Giustizia, Libertà e Sicurezza, al nuovo commissario italiano all’Unione Europea Tajani, che subentra al neo ministro degli esteri Frattini, scippando così il portafoglio dei trasporti al francese Jacques Barrot.
Però da grandissimo imprenditore quale è stato, non può certo nascondersi dietro un filo d’erba, nel momento in cui chiede il “contributo decisivo” degli imprenditori italiani.
La missione di un imprenditore è quella di moltiplicare i soldi, non di buttarli in un pozzo del quale non si vede il fondo. Certo piacerebbe ad ogni imprenditore un paese “più moderno ed efficiente”, ma prima è meglio vedere gonfio il proprio portafoglio. Nell’affare Alitalia, capitani d’impresa pronti a metterci un bel po’ di quattrini ce ne sarebbero, ma stanno valutando solo la sacrosanta possibilità di averne un ritorno positivo.
Ed allo stato attuale delle cose, non c’è da stare molto allegri.
L’ultimo CdA (13 Maggio) di una compagnia che negli ultimi venti anni ha chiuso 19 esercizi in perdita e uno solo in positivo, ha certificato che la perdita Alitalia (prima della liquidazione delle tasse) nel primo trimestre 2008 è stata di 215 milioni, 62 milioni in più rispetto allo stesso periodo dell’esercizio precedente. Questa perdita comprime il patrimonio netto al 31 marzo a circa 360 milioni, in caduta dai 573 milioni risultanti a fine 2007.
Anche il risultato operativo è in perdita e in peggioramento rispetto ai primi tre mesi del 2007. Al 31 marzo Alitalia perdeva 161 milioni contro i 113 del precedente esercizio. I ricavi del periodo stati di 954 milioni con una riduzione di 43 milioni (-4,3%) rispetto al precedente esercizio.
Le cause sarebbero la “modifica riduttiva del network”, con la conseguente riduzione del traffico, e soprattutto i picchi raggiunti dal prezzo del petrolio, contro il quale (a differenza di quasi tutte le altre compagnie aeree) Alitalia non ha alcuna copertura assicurativa.
E dopo le svalutazioni alla flotta per 197 milioni presenti nel bilancio 2006, ne è già pronta un’altra di 97 milioni per il bilancio 2007.
Ma la cosa più preoccupante in assoluto è che, a quanto pare, i trecento milioni del prestito ponte basterebbero per tre mesi o poco più. Tagliati i voli, quindi, ma non i costi!
Berlusconi ha senza dubbio mandato a monte i progetti non solo di Air France-Klm, ma probabilmente anche di parecchi contabili della Magliana. L’offerta di Spinetta prevedeva infatti l’impegno ad una ricapitalizzazione di almeno un miliardo entro giugno, e quei soldi avrebbero fatto assai comodo per tenere in vita Alitalia.
Ecco perché ora il Premier si sente la gravosa responsabilità di trovare acquirenti alternativi. Ma nessuno si è ancora presentato assumendo seri impegni finanziari o presentando piani concreti, specie sul fronte cruciale dell’esubero di personale, malgrado alcuni presunti interessi o dichiarazioni di disponibilità a esaminare progetti.
Ed in attesa del nuovo Ad (Mario Resca, l’uomo che ha portato McDonald’s in Italia, o Maurizio Basile di aeroporti di Roma i due nomi più probabili) la nostra compagnia continua a viaggiare desolatamente verso un destino segnato da anni di scellerata gestione.