L’import di energia mantiene viva la presenza del nucleare in Italia, anche se in misura minore rispetto ad altri tipi di energia. Le centrali nucleari italiane sono ormai ferme e chiuse da vent’anni, dopo il referendum, ma dai calcoli risulta che sette lampadine su cento delle nostre case sono accese grazie all’atomo. Si può infatti stimare che circa la metà (25 miliardi di Kwh su un totale di 46-47 miliardi) dell’energia importata in Italia è di origine nucleare, ovvero circa il 5-7% del fabbisogno annuo, con un controvalore sul mercato che si aggira intorno ai 340 miliardi di euro. Un dato minimo rispetto all’uso di questo tipo di energia in altri Paesi dell’Europa, dove il nucleare è la fonte primaria di produzione energetica con una quota di mercato pari al 35%.
Italia – il Paese importa mediamente il 15% del fabbisogno energetico dall’estero, fino al 25% durante la notte, e la metà di questa energia arriva dall’atomo. La metà del nostro import energetico arriva dalla Svizzera che con 29 miliardi di Kwh ci fornisce di elettricità prodotta con il nucleare, proveniente dalla Germania. La Francia è il nostro secondo fornitore estero con 15 miliardi di Kwh: circa l’80% della produzione nazionale francese è dovuta all’atomo. Non è un caso, quindi, che uno dei piani di sviluppo del nucleare in Italia preveda la costruzione di un lotto di centrali in Albania, con le quali rifornire poi il mercato italiano. Ma è il gas che da solo alimenta il 46,5% delle lampadine di casa nostra, petrolio e carbone coprono il 23% del fabbisogno energetico, mentre le energie rinnovabili si fermano al 15%.
Europa – secondo i dati presenti nel Libro Verde della Commissione Ue, il nucleare copre il 15% del fabbisogno energetico del continente, con una percentuale che sale però al 35% se si guarda al dato relativo alla produzione elettrica, rappresentando di fatto il combustibile più utilizzato, distaccando in modo deciso il carbone (fermo al 27%) e il gas al 16%.