Professore, Le chiedo innanzitutto una valutazione sui temi principali dell’agenda di governo, in particolare per quel che riguarda il dilemma pressione fiscale/riduzione della spesa pubblica, tenendo conto che c’é chi parla di una crescita zero
Effettivamente, è vero: la crescita è vicino allo zero. Detto questo, il governo nelle sue prime decisioni ha assunto scelte, di tipo fiscale, per aumentare il reddito e il potere d’acquisto delle famiglie.
In primo luogo, attraverso una rimodulazione dei mutui, con la conseguente speranza che i tassi di interesse (tenendo conto che la durata media dei mutui è di 17 anni) abbiano a ridiscendere, rendendo meno oneroso per le famiglie l’adempimento degli obblighi di credito. Una misura che è stata ingiustamente criticata, perché in un momento di tensione sui tassi di interesse in Europa, diluire un mutuo su un periodo più lungo, bloccando anche i tassi ai valori del 2006, dà molto respiro al debitore.
Vi è stata poi la detassazione (con aliquota secca del 10%) degli straordinari. Questa misura dovrebbe determinare un aumento di produttività e di competitività del sistema e, si spera, l’emersione di una parte di sommerso laddove i premi e le retribuzioni di straordinario vengono pagati fuoribusta. Ciò potrebbe permettere il recupero di una parte della base imponibile.
Infine, il provvedimento sull’Ici (che peraltro era già stata preso dal Governo Prodi per circa 800 milioni di euro), che riferendosi solo alla prima casa, non abolisce completamente il gettito di questa imposta: dovrebbe trattarsi (considerando la detassazione di Prodi più quella di Tremonti) di circa 2,5 miliardi di euro, e tenendo conto che nel 2007 l’introito totale da questa imposta è stato di 12,5 miliardi di euro, resterebbe ancora un “incasso” di circa 10 miliardi. Bisognerà però vedere come funzionerà il meccanismo di restituzione del mancato gettito agli enti locali da parte del governo centrale.
Il Governo intende, inoltre, tagliare consistentemente la spesa pubblica, in modo da reperire le risorse per coprire queste operazioni di sgravio. Occorrerà vedere dove verranno operati questi tagli per poter esprimere un giudizio sulla bontà dell’operazione.
Il Governo sembra anche intenzionato ad aumentare la tassazione per le banche. Crede che questo potrà penalizzare il margine di azione e competitività degli istituti di credito?
Il ministro Tremonti, almeno nelle dichiarazioni, intende tassare quelli che lui ha definito, riprendendo una definizione di Einaudi, “guadagni di congiuntura”. Questi (qui il ministro è stato chiarissimo) andranno ricercati tra i profitti delle banche e delle assicurazioni.
Non so dire quanto un simile provvedimento potrà incidere sugli istituti di credito, perché ancora non si conoscono le modalità con cui si intende attuarlo. Potrebbero esserci anticipi di imposte o sgravi in momenti successivi.
Finché non si saprà come si intende provvedere alla tassazione di questi “guadagni di congiuntura”, non è possibile esprimere un giudizio.
Il nostro sistema bancario sembra essere stato toccato parzialmente, o almeno non pesantemente come altrove, dalla crisi finanziaria internazionale. Secondo Lei ci saranno conseguenze sullo sviluppo del ciclo del credito?
Ho l’impressione che il sistema bancario italiano sia rimasto quasi completamente estraneo, salvo casi rari, alla crisi dei subprime, frutto di una gestione finanziaria irresponsabile. Tutte le volte che il mondo bancario e la finanza si staccano dall’economia reale, si verificano disastri visibili a tutti. Penso che la maggior responsabilità di questa crisi sia da attribuire al sistema finanziario, perché tocca al sistema e ai soggetti vigilanti sul sistema garantire che non si producano effetti distorsivi. Il singolo mutuatario non può avere la visione globale del sistema, tocca quindi alla vigilanza, ma anche ai grandi soggetti finanziari, assumere comportamenti responsabili.
Detto questo, dato che viviamo in un mercato finanziario internazionalizzato, qualche “contraccolpo” lo abbiamo subito anche qui in Italia: la liquidità internazionale è diventata più costosa sia per le banche che per le imprese che prendono credito dalle banche. Questo è un effetto purtroppo inevitabile.
Il nostro sistema produttivo è costituito principalmente da piccole imprese. Lei pensa che esista un problema “dimensionale” delle aziende che può essere d’ostacolo al loro sviluppo?
Il sistema italiano è fatto da piccole e medie imprese, molto spesso aggregate in sistemi locali di produzione o in distretti, entità che di per sé rappresentano un’impresa a rete grande. È un’architettura di piccole imprese operanti su uno stesso territorio, che hanno rapporti di subfornitura o di penetrazione nei mercati internazionali connessi tra loro, quindi è come se fossero una sola grande impresa.
Ciò detto, nel manifatturiero le imprese italiane, soprattutto in alcuni settori, hanno avuto successi straordinari: basti pensare che il surplus commerciale del nostro paese nelle cosiddette 4 A del Made in Italy (automazione meccanica, arredo casa, abbigliamento moda, alimentari), è stato di 113 miliardi di euro, che è una cifra importantissima, seconda solo al dato della Germania. È il risultato di una formidabile ristrutturazione delle imprese in questi anni, senza svalutazioni competitive, affrontando la concorrenza sleale cinese, l’inefficienza complessiva del sistema Italia e l’aumento della pressione fiscale degli ultimi anni. Tutto questo è stato possibile grazie all’innovazione e alla realizzazione di prodotti di sempre più alta qualità e molto apprezzati in molti mercati. Vi sono poi almeno 3.000 imprese italiane che fatturano più di 1 miliardo di euro: le chiamano “multinazionali tascabili”, in realtà sono multinazionali tout court.
Premesso tutto questo, credo che non si debba fare della crescita dimensionale delle imprese un obiettivo, la dimensione esistente è quella utile per affrontare i mercati internazionali ed essere competitivi. Ovviamente questo discorso non vale per alcuni settori, come quello energetico o petrolifero, dove occorrono grandissime dimensioni transnazionali.
Le banche che ruolo possono avere per aiutare lo sviluppo produttivo del Paese? Ritiene che da questo punto di vista manchi loro qualcosa?
Le banche italiane hanno avuto in questi anni processi di ristrutturazione enormi, tant’é vero che ora abbiamo due tra le prime dieci banche europee, per patrimonio.
Mi sembra che il sistema bancario continui a essere capace di presidiare il territorio, di sostenere le piccole e medie imprese e di sostenere anche le banche medie e piccole radicate sui territori che hanno una grande utilità. Anche le banche grandi sono utili dato che sono in grado di sostenere le nostre imprese che fanno export.
Il nostro è un sistema articolato, dove è buona cosa se aumenta la concorrenza con riferimento ai clienti al dettaglio, ai consumatori. È qui che secondo me le banche dovrebbero fare di più, mentre credo che rispetto alle imprese la situazione sia tutto sommato soddisfacente: rispetto ai normali cittadini, le aziende hanno le competenze per poter trattare alla pari con le banche.