Certamente possiamo credere all’affermazione di Berlusconi che il compito di governare l’Italia in questo periodo storico faccia “tremare i polsi”. Dovrà combinare politiche di rigore, sviluppo e ricapitalizzazione d’emergenza della classe media/salariata, in un ciclo economico globale non favorevole e con pochi strumenti di sovranità economica. Il tutto sotto il peso schiacciante del debito e di un modello che soffoca la produttività. Con la complicazione di un picco inflazionistico anomalo e delle conseguenze di una crisi finanziaria che, pur in via di contenimento, avrà conseguenze non brevi nel ciclo del credito. Tale situazione non permette di ipotizzare grandi riforme di modello subito, ma una strategia, prima, di gestione delle emergenze prioritarie con piccoli aggiustamenti, per poi tentare modifiche più ambiziose man mano che la situazione economica migliori e se.
L’emergenza prioritaria in Italia riguarda la ricapitalizzazione delle famiglie che vivono di salari/pensioni ormai inadeguati al costo della vita. Il problema è nato quando alcuni costi primari per le famiglie (alimentari, energia, mutui, ecc.) sono aumentati oltre la capacità di spesa fornita dai salari (e pensioni) di livello medio-basso. Per risolverlo un governo deve operare su due lati: la riduzione dei costi sistemici e l’aumento del capitale disponibile per le famiglie. L’azione sul primo lato richiede del tempo, è difficile perché i prezzi energetici, alimentari e dei mutui stanno aumentando per cause anomale che sfuggono alla governabilità ordinaria, e comunque non sarà sufficiente. Resterà un gap da colmare ridando cassa netta alle famiglie in bisogno. Ma non può avvenire aumentando i salari, perché ciò alzerebbe l’inflazione ed i costi di impresa, oppure alzando le tasse, perché così si deprimerebbe la crescita. Quindi l’unico modo per fornire capitale alle famiglie è quello di detassare le buste paga e riconvertire parte della spesa pubblica per incrementare le pensioni minime. Il futuro governo, in base agli annunci preliminari, tenterà di detassare gli straordinari, ridurre l’Ici ed alzare le pensioni minime. Ma è evidente che avrà un grosso problema a calibrare la riduzione del gettito fiscale dovuta alla detassazione con il requisito di pareggio di bilancio difficile da rispettare a causa della tendenza recessiva che deprime le entrate. Quindi dovrà tagliare tanta spesa quante tasse toglie alle buste paga e quanta Ici riduce. Probabilmente dovrà attutire la riduzione dell’Ici stessa per rendere consistente il sollievo in busta paga. Fattibile almeno questo? Lo è, sperando che i sindacati convergano, e sarà misura oltre che salvifica anche stimolativa dei consumi interni.
Per alzare le pensioni minime e attuare altre detassazioni stimolative, in previsione di bassa crescita e nell’eurovincolo di non potere fare deficit pubblico, il governo non potrà far altro che riallocare spesa pubblica da destinazioni meno prioritarie o perfino inutili a queste di carattere propulsivo. La buona notizia è che ci sono una trentina di miliardi di euro nel bilancio statale che è possibile riallocare senza dover intaccare spesa essenziale (stima di Mario Baldassarri agli inizi del 2006). Quella cattiva e che questi soldi finanziano privilegi e sono difesi da quello o altro partito. Non sappiamo ancora se il governo avrà la forza di far male a pochi per far bene a tanti.
Il federalismo fiscale va attuato gradualmente per non creare shock territoriali. Il modello finale, per essere efficace, dovrebbe poter finanziare gli enti locali con la tassazione locale lasciando il resto allo Stato centrale più un’aliquota per il finanziamento degli interessi del debito ed un fondo di riserva per solidarietà o investimenti di interesse nazionale. Quindi non può essere una sola riforma economica, ma deve essere attuata modificando le competenze centrali e locali per poi rivestirle di titolarità fiscale. Per esempio, le autostrade andrebbero rinazionalizzate e pagate con denaro fiscale statale mentre le scuole e la polizia regionale e municipale (non i Carabinieri) andrebbero localizzati e finanziati con tasse locali. In sintesi, prima del federalismo fiscale va fatta la riforma istituzionale, le due cose inseparabili. Prima si fa meglio sarà per aggiustare parecchi difetti strutturali del sistema, ma oltre alle intenzioni finora non si è visto un piano dettagliato in materia.
Certamente tutti questi problemi sarebbero moderati dalla possibilità di recuperare capitale pubblico dall’abbattimento del volume assoluto del debito e quindi dalla spesa annua per interessi (tra i 60 e 70 miliardi l’anno). Anche su questo punto dobbiamo aspettare un piano preciso solo annotando che sarebbe la massima priorità dopo quella della ricapitalizzazione delle famiglie.