Negli ultimi mesi i mercati finanziari sono stati caratterizzati da due fenomeni rilevanti: la crisi dei mutui ed il deprezzamento del dollaro. Nonostante essi possano essere considerati come eventi distinti della fase di turbolenza dei mercati finanziari, in realtà questi due fenomeni sono legati più di quanto si possa immaginare al punto che molti ritengono che il primo fenomeno sia un prodotto del secondo.



L’aspetto senza dubbio più profondo, di natura strutturale è costituito dal deprezzamento del dollaro: dal massimo toccato nell’ottobre 2000 (0,82) al minimo degli scorsi giorni (1,60) la valuta statunitense si è deprezzata del 95% nei confronti di quella europea. Le cause di questo lungo declino sono state sottolineate da numerosi economisti (Maurice Obstfeld di Berkeley e Kenneth Rogoff di Harvard su tutti) da parecchio tempo e risiedono principalmente nei consistenti deficit di parte corrente prodotti negli anni dall’economia americana.



Quando un paese realizza un deficit di parte corrente si sta sostanzialmente indebitando nei confronti del resto del mondo (in altri termini importa in beni e servizi più di quanto esporti); il saldo di parte corrente USA, con l’eccezione del 1992 è stato in deficit dal 1981 ad oggi, realizzando in particolare negli ultimi 10 anni valori prossimi al 5% del PIL. L’indebitamento verso l’estero degli USA è dunque un fenomeno all’opera da parecchi anni e ha determinato una crescita sostanziale dello stock di debito estero che ha attualmente raggiunto i massimi storici.

Si badi tuttavia che l’indebitamento esterno di un paese non è necessariamente un fatto negativo, perché occorre valutare l’uso che viene fatto delle risorse acquisite: se il debito viene infatti contratto per finanziare investimenti, il rendimento di questi ultimi permetterà di ripagare il dovuto, garantendo al contempo la crescita del paese. Questa è la storia dell’economia americana negli anni ’90 in cui era la “locomotiva del mondo” e attirava numerosi investimenti esteri. Questi investimenti si sono poi rivelati eccessivi al punto da causare la bolla speculativa nel mercato azionario (il Nasdaq in particolare). La situazione è radicalmente cambiata all’inizio del nuovo millennio con lo scoppio della bolla del Nasdaq e l’attacco alle Torri gemelle. In questo scenario gli USA hanno continuato a indebitarsi verso l’estero, ma questa volta non più per finanziare investimenti (come negli anni ‘90) bensì per finanziare consumi e spesa pubblica (le maggiori spese militari per la lotta al terrorismo e i tagli alle tasse hanno determinato una riduzione dei risparmi pubblici e privati). E’ chiaro che la capacità di ripagare il debito contratto per un paese che si indebita per finanziare consumo è ben diversa da quella di un paese che si indebita per finanziare investimenti!



Generalmente in queste condizioni il mercato è riluttante ad estendere credito e chi si indebita deve pagare tassi di interesse maggiori. Tuttavia gli USA in questo periodo hanno beneficiato di alcune condizioni particolarmente vantaggiose: la prima era costituita dal fatto che il dollaro è la principale valuta di riserva mondiale, e dunque esiste sempre una domanda per titoli emessi dal Tesoro americano, la seconda era costituita dalla forte domanda di titoli in dollari proveniente da numerosi paesi emergenti. Tra questi alcuni (come i paesi arabi) investivano in titoli USA i crescenti guadagni derivanti dalla vendita delle materie prime (in particolare petrolio), altri (tra cui la Cina e altri paesi asiatici) acquistavano titoli americani per impedire l’apprezzamento della propria valuta e sospingere così le esportazioni, vero e proprio motore della loro crescita. Dunque proprio quando l’economia americana era nelle peggiori condizioni per indebitarsi si è verificata una domanda di titoli USA che ha di fatto permesso agli Stati Uniti di continuare ad indebitarsi a tassi molto bassi.

E’ qui il legame con la crisi dei mutui: all’interno di un sistema economico che non era più in grado di produrre una elevata crescita della produttività (come negli anni ‘90) tassi di interesse eccessivamente bassi hanno favorito la nascita di posizioni rischiose (come la sottoscrizioni di mutui da parte di soggetti con posizioni lavorative dubbie) creando le premesse per la successiva crisi. La crisi dei mutui dunque è per certi versi figlia dell’eccessivo indebitamento dell’economia americana finanziato dai paesi emergenti.

La posizione degli USA non era comunque sostenibile nel lungo periodo: gli ampi deficit di parte correnti dovevano essere corretti. Per farlo l’economia americana necessitava di una riduzione delle importazioni e di un aumento delle esportazioni. Il primo obiettivo era raggiungibile con una contrazione generalizzata dei consumi, ovvero con una recessione, il secondo con un deprezzamento del dollaro. Questo è esattamente quello che si è verificato in questi mesi. Dunque la situazione congiunturale americana è semplicemente la conseguenza del necessario processo di aggiustamento richiesto per rientrare da anni di eccessivi deficit di parte corrente.

Non è possibile dire a priori quanto del processo di aggiustamento debba ricadere sul deprezzamento del dollaro e quanto sulla contrazione dell’economia americana: dipende da numerosi fattori quali la struttura dell’economia americana stessa (il particolare il peso dei beni non commerciabili sul totale dei beni prodotti) e le mosse di politica economica intraprese dalla FED da una parte e dal governo USA dall’altra. Certo è che alcuni economisti, in tempi non sospetti (Obstfeld e Rogoff, 2002) erano arrivati a prevedere un cospicuo deprezzamento del dollaro, sino ai valori attuali.

E’ difficile dire se il deprezzamento del dollaro sia arrivato ai massimi e se dunque il peggio per gli esportatori europei sia oramai passato. Sicuramente il processo di aggiustamento non è concluso; la debolezza del dollaro e dell’economia americana durerà ancora almeno qualche mese.

(foto Imagoeconomica)