Dal sesto rapporto sul processo di liberalizzazione della società italiana, dell’associazione Società Libera, emerge un quadro certamente non positivo della situazione del nostro Paese. Quali sono le cause?

Il quadro che emerge è quello di un Paese che, nonostante anche i recenti tentativi, non è riuscito a fare un passo avanti sostanziale sul piano delle liberalizzazioni. La motivazione, che emerge anche da alcuni commenti su questo rapporto, è che esiste una resistenza di tutte le lobby (dai sindacati tout court, agli ordini professionali, ai gruppi di interesse) decise a fare in modo che le liberalizzazioni non abbiano luogo. Tutti sembrano chiedere liberalizzazioni e poi incominciano a “odiarle” quando toccano i loro interessi particolari. La forza di questa resistenza è talmente consistente che è difficile fare dei progressi sostanziali.



Data questa situazione, si può dire che le “lenzuolate” di Bersani non hanno sortito l’effetto sperato?

In certi casi non lo hanno avuto. Per esempio sui taxi: in molti casi le tariffe sono aumentate, ma non le licenze e quindi c’è stato un danno per i consumatori. E questo perché il processo di liberalizzazione coinvolge molti livelli istituzionali: non basta che il governo intervenga sui taxi se poi i sindaci, a partire da quello di Roma seguito subito da quello di Milano, alzano bandiera bianca di fronte ai taxisti.



Inoltre, penso che per la natura di questo Paese sia difficile andare avanti a colpi di decreti: occorre avviare un processo molto lungo con il coinvolgimento delle categorie interessate. Sono convinto che una liberalizzazione vera si può fare soltanto se ci si pone come traguardo quello di 5-10 anni, in modo che il danno per le categorie interessate possa essere minimizzato, anche attraverso un loro coinvolgimento nel processo di liberalizzazione.

Il nuovo governo dovrebbe quindi concentrarsi in specifici settori per sperare di avviare un processo di liberalizzazione?

Il nuovo esecutivo mi pare (forse anche con una punta di malignità, dato che vuol cominciare dagli enti locali) abbia indicato come primo obiettivo principale la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, un campo dove si annida la maggior resistenza al cambiamento. Anche perché le “utilities” sono uno dei campi di battaglia per i sindaci di tutti i colori politici. Nel centrodestra, inoltre, la Lega è molto contraria a questo processo di liberalizzazione.



Ci sono comunque altri settori in cui il Governo potrebbe intervenire e in che modo?

Io penso che laddove c’è la possibilità di portare elementi di mercato e di concorrenzialità questo sia solamente un bene.

Per anni abbiamo pensato che fosse la natura della proprietà a migliorare le cose: se la proprietà diventava privata tutto migliorava. In realtà non è la natura della proprietà, pubblica o privata, a cambiare le cose. Ciò che conta è che ci sia concorrenza e mercato, in modo che si possano infrangere alcuni monopoli nel campo dei servizi o nella distribuzione dei beni, che oggi sono ancora resistenti nel nostro Paese.

Ci sono esempi virtuosi di altre nazioni che il nostro Paese può seguire?

Ci sono Paesi dove si è fatto di più di quanto non sia stato fatto in Italia, per esempio nel campo delle telecomunicazioni (in Olanda o in Gran Bretagna) o nel campo commerciale. In generale credo che in giro per il mondo ci siano molti casi che dimostrino che una minore sfiducia nei confronti del mercato e della concorrenza può esistere ed essere vantaggiosa.

Nel rapporto di Società Libera vi è un capitolo dedicato alla scuola. Che cosa emerge?

Dal capitolo emerge innanzitutto come all’interno dei sistemi sostanzialmente monopolistici, come quello dell’istruzione pubblica, vi sia una fortissima resistenza alla valutazione e quindi anche alla remunerazione secondo il merito dei docenti.

Questa grande difficoltà rende anche impossibile introdurre elementi di qualità nel sistema scolastico.

Pensa che sia utile cercare di liberalizzare questo settore? Perché?

Sì, ho sempre sostenuto che non ci debba essere un monopolio pubblico in questo settore, e anche che l’istruzione privata non debba essere finanziata dallo Stato come chiede, ma debba essere messa nelle condizioni di poter competere con l’istruzione pubblica.

Un sistema come quello del buono scuola andrebbe bene per il sistema italiano proprio perché garantirebbe il servizio pubblico anche ai poveri, permettendo allo stesso tempo di poter scegliere l’istituto da frequentare. Si metterebbero quindi in concorrenza scuole pubbliche e private, e credo che questo sia l’obiettivo da raggiungere se vogliamo qualità.