5 mila posti di lavoro da tagliare entro il 2010 in Italia, corrispondenti a circa il 10% del personale, da realizzare con un esborso per l’azienda – dovuto alle buonuscite, stimate in circa 50 mila euro per dipendente – di 250 milioni di euro. È la misura principale per risanare i costi di Telecom Italia, stando a quanto ha dichiarato l’amministratore delegato Franco Bernabé in un’intervista al Financial time all’inizio di settimana scorsa.



I sindacati naturalmente non ci stanno, e martedì hanno proclamato uno sciopero di 8 ore per il 4 luglio. Hanno chiesto a Bernabé un confronto sul piano industriale e, sulla base di voci interne all’azienda, hanno annunciato che gli esuberi saranno nettamente superiori a quelli previsti, per un totale di 15-20mila esuberi complessivi.



Nel frattempo, in mancanza di notizie certe, le uniche cifre ufficiali sono quelle annunciate dal management Telecom.  La reazione sindacale era prevedibile, anche se i sindacati, che pure hanno definito “negativa, confusa, contraddittoria, sbagliata nel merito e nel metodo, quindi da respingere” la scelta di Telecom, non hanno annunciato vere e proprie barricate. Consapevoli da un lato che il taglio di personale è stato probabilmente un prezzo da pagare al nuovo azionista forte Telefonica. E dall’altro che le uscite previste dal nuovo piano organizzativo saranno quasi tutte concordate con i dipendenti. E veniamo così alla secondo elemento che ha preoccupato più i sindacati che il mercato che, come vedremo, ha reagito positivamente alle misure di risanamento annunciate. Sì, perché fin da mercoledì scorso 4 giugno è stato chiaro che l’azienda varava un nuovo assetto organizzativo, rinviando la presentazione del piano industriale a tempi più lunghi.



È quello che ha preoccupato le rappresentanze dei lavoratori. A marzo «durante l’incontro tra sindacati e l’amministratore delegato – ha dichiarato Alessandro Genovesi segretario nazionale di Slc-Cgil – ci fu annunciato un piano di risparmi e sinergie basato, tra le altre cose, sulla riduzione dei servizi informatici dati in esterno, la valorizzazione delle risorse interne e maggiori economie di scala grazie alla partnership con Telefonica. Il tutto sarebbe avvenuto senza tagli sul personale. Ora, se lo scenario è cambiato, se vi è un nuovo piano industriale, chiediamo di conoscerlo» ha aggiunto. E i sindacati sanno bene che due anni fa, quando Telefonica, azionista indiretto del gruppo italiano con il 10% del capitale – fece un maxi piano di licenziamenti, spese per ogni dipendente circa 5 volte di più di quanto preventiva oggi Telecom.

Di segno opposto, come è noto, la reazione del mondo finanziario e dei mercati. Il taglio del 40% dei costi del business domestico annunciato da Bernabé è stato accolto positivamente da Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, secondo il quale «Telecom sta cominciando a fare tutto ciò che serve per il suo rilancio» e dal presidente del Comitato di sorveglianza di Mediobanca, Cesare Geronzi, che ha apprezzato esplicitamente le scelte di Bernabé. Prevedibili, comunque, le difficoltà, e numerose le incognite, se Bernabé ha affermato: «non crescere non significa stagnazione, non crescere equivale a un’enorme trasformazione», alludendo ai conti sostanzialmente fermi che si prevedono quest’anno. In questo panorama ricco di rassicurazioni anche se incerto, gli occhi degli osservatori sono puntati sulla riunione convocata per il 15 luglio con Antonio Calabrò, dove all’ordine del giorno sarà il cosìddetto Next Generation Network, la rete in fibra ottica che arriverà dentro le case degli italiani, e che secondo Bernabè nel 2015 porterà il gruppo a tagliare i costi sulla rete fissa da 2 a 1,2 miliardi di euro. «Sappiamo tutti – hanno replicato a loro volta i sindacati – che servono le linee in fibra ottica per poter competere con il mercato e quindi investimenti mirati per 4-5 miliardi l’anno nei prossimi 4 anni: per ora non si è visto nulla e non sembra che le banche entrate con forza nel pacchetto azionario siano pronte a metterci qualcosa».