Riflettendo sul caso S. Rita, sulle modalità con cui è stato affrontato dai media e sull’impatto generato nell’opinione pubblica, sorgono naturali domande sulla gravità dei fatti, almeno così come sono stati presentati, dubbi sulla efficacia del sistema dei controlli, sulla deontologia professionale dei medici e del personale non medico coinvolti, sulla accettabilità di strumenti contrattuali che premiano unicamente i volumi di produzione.
La prima riflessione riguarda tuttavia il processo di generalizzazione che è stato compiuto in questo caso, assimilando tutto il sistema di erogazione privato ai possibili comportamenti criminali di alcuni. Il velo ideologico continua ad annebbiare la mente dei molti moralisti che in casi come questi brandiscono la ghigliottina della condanna preventiva collettiva e senza appello.
Vale dunque la pena di ricordare che le organizzazioni complesse non sono mai interpretabili seguendo ragionamenti logici astratti che prescindano dai comportamenti concreti degli uomini, dall’ambiente culturale e morale in cui lavorano, dalla natura e dalla struttura delle loro motivazioni. Del resto, un anno fa le ispezioni ordinate dal Ministro della salute Turco, mostrarono una condizione di rilevante degrado strutturale e organizzativo, tanto che si stimarono carenze di requisiti di accreditamento gravi in almeno il 50% delle strutture pubbliche esaminate. Eppure nessuno mise in discussione l’intero sistema di erogazione pubblica delle prestazioni. Non credo di fare un’affermazione temeraria, dicendo che si decise di attenuare dinnanzi all’opinione pubblica risultati e conseguenze di quella indagine, a protezione dei valori universali rappresentati dal servizio sanitario pubblico.
Alcuni fatti non sono tuttavia negabili.
L’introduzione del processo di aziendalizzazione del nostro SSN deciso nel 1992 al governo Amato dopo la crisi finanziaria che ci portò fuori dal sistema monetario europeo nel settembre dello stesso anno, fu dettato alla necessità di rendere accettabilmente funzionante un sistema che aveva prodotto gravi livelli di inefficienza, liste di attesa insopportabili per il pubblico, disimpegno professionale.
La scelta della regione Lombardia fu quella di adottare un approccio già introdotto dal governo Tatcher (mantenuto in vita dai due governi Blair), che consisteva nel creare una competizione regolata fra soggetti pubblici e privati, per stimolare maggior efficienza e maggiore attenzione delle organizzazioni sanitarie alle esigenze dei consumatori. In Lombardia questa scelta fu rafforzata dalla introduzione del principio di libertà di scelta, che consentì ai cittadini di scegliere professionisti e luogo di cura.
Questa scelta ha portato alla crescita nel sistema lombardo di alcune strutture sanitarie private che oggi rappresentano motivo di orgoglio per tutto il paese, investimenti in ricerca scientifica e tecnologia avanzata, sviluppo di un sistema di offerta che è oggi uno dei migliori in Europa. Il tentativo di gettare con l’acqua sporca anche il bambino, va dunque respinto, per non ritornare alla stagione antecedente il 1992 e per non disperdere il patrimonio di cultura, tecnologia, professionalità che abbiamo accumulato in questi anni.
Certamente, l’esperienza internazionale e quella italiana confermano che i sistemi di remunerazione delle prestazioni basate sulle unità di prodotto posso generare offerta in eccesso di quanto necessario e comportamenti professionali di selezione dei pazienti. È compito del processo di vigilanza e degli strumenti contrattuali prevenire ed eliminare dal sistema tali deviazioni.
Il sistema dei controlli lombardo riesce oggi ad esaminare circa il 6% di tutte le cartelle cliniche (più di quanto venga fatto nella maggioranza delle altre regioni italiane), utilizzando in aggiunta strumenti di bench marking, sull’andamento globale della produzione di servizi, che sono in grado di mettere in evidenza processi distorsivi. Sono tuttavia emersi negli ultimi anni episodi in cui tutto questo non è stato capace di prevenire comportamenti opportunistici e cattive pratiche professionali.
Le ragioni di ciò sono di duplice natura, una istituzionale ed una contrattuale.
La ragione istituzionale risiede nell’impianto giuridico del nostro sistema sanitario, per cui chi effettua le scelte di programmazione, è anche responsabile del sistema di controllo e di gran parte del sistema di erogazione. Dato che i sistemi sanitari sono sistemi all’interno dei quali si confrontano interessi rilevanti (dei consumatori, dei dipendenti, della burocrazia, della politica), si determina facilmente l’indebolimento del sistema di controllo da un lato, lo stabilirsi di relazioni improprie fra ambienti politici e organizzazioni di erogazione pubbliche e private dall’altro. Questo è ormai sotto gli occhi di tutti e richiede il taglio di questo nodo con l’istituzione di un sistema di controllo che sia trasparente, terzo e indipendente da chi svolge le funzioni di programmazione ed anche da chi svolge le funzioni di erogazione delle prestazioni. Purtroppo in Italia i gruppi dirigenti sono portatori di una cultura istituzionale che sembra avere dimenticato la fondamentale lezione sulla separazione dei poteri (su cui si fonda l’esperienza democratica europea ed americana) e continuano ad affrontare problemi di questa natura sulla base del giudizio morale (pubblico è buono, privato è cattivo o viceversa) e non sulla base di una cultura giuridica che sia capace di fondare, nel riconoscimento del fisiologico contrapporsi degli interessi, un appropriato sistema di bilanciamento (checks and balances).
La seconda questione sulla quale occorre intervenire è quella contrattuale.
Occorre prendere atto del fatto che contratti che premiano le strutture di erogazione e i medici sulla base del fatturato, incoraggiano comportamenti opportunistici e portano alla moltiplicazione delle prestazioni. Questo non avviene nei paesi in cui l’acquirente delle prestazioni è un soggetto terzo rispetto alla pubblica amministrazione (fondi, assicurazioni, mutue, dei quali sarebbe auspicabile l’introduzione anche in Italia) e in cui gli ordini professionali vigilano sulle deontologia dei propri associati con maggiore efficacia. Sul versante dei soggetti erogatori il nostro sistema di remunerazione delle prestazioni incoraggia lo sviluppo di volumi di prestazioni crescenti a discapito del miglioramento di efficienza, mentre sul versante dei medici si incoraggiano pratiche che estendono l’indicazione agli interventi, certamente avvalendosi di argomenti culturali e scientifici, ma altrettanto certamente portando il cuore e la mente là dove risiede il portafoglio.
I sistemi di controllo di qualità introdotti nel nostro sistema sanitario (Iso 9000 e sue varianti, JCI, altri) sono inefficaci nel valutare l’appropriatezza delle indicazioni alle procedure, né si può pensare che le organizzazioni preposte ai controlli siano in grado di entrare nel merito professionale della scelta medica, se non in casi di palese violazione della ragionevolezza.
Va tuttavia osservato che gli ordini dei medici e tutti gli altri ordini professionali accessori, proliferati nel rapporto patologico fra gruppi di interessi e Parlamento, non hanno mostrato alcuna capacità né alcun interesse nel vincolare i propri associati a comportamenti deontologicamene corretti, assecondando nei fatti la progressiva perdita di capacità di giudizio e di responsabilità.
Occorre ora modificare questa situazione prevedendo vincoli ai contratti stipulabili fra organizzazioni degli erogatori e professionisti medici, imponendo il rapporto di impiego (pena la non compliance ai requisiti di accreditamento) e vietando forma di incentivazione che rendano la parte variabile eccedente il 10 o ilo 20% della remunerazione totale. Questo per rendere il lavoro professionale del medico più libero nel giudizio e non soggetto al conflitto fra interesse economico e deontologia professionale. I nuovi contratti dovrebbero inoltre contenere obbligatoriamente dichiarazioni e vincoli sulla qualità e sulla appropriatezza delle prestazioni ed essere oggetto di approvazione formale o in sede ordinistica o in sede di agenzia di controllo della qualità. Le remunerazione dei medici e dei manager della sanità dovrebbero essere inoltre soggette a pubblicazione periodica e consultabili dai cittadini.
Per quanto attiene invece ai contratti fra pubblica amministrazione e soggetti erogatori, dovrebbero essere utilizzati standard di bench marking sulla produttività della unità operative, per definire budget tali da garantire efficienza organizzativa, ma evitando di generare pressioni all’incremento dei volumi che espongano a comportamenti opportunistici.
Una considerazione infine sulla gogna mediatica cui sono stati esposti in questa vicenda gli operatori professionali, con la pubblicazione di intercettazioni che hanno indotto a ritenere criminali anche comportamenti che certamente non lo sono, quale l’uso di porzioni di un tipo di legamento o di un altro per effettuare un intervento ortopedico. La mancanza di riservatezza e qualche spregiudicatezza nell’utilizzo delle intercettazioni produce anche danno alla credibilità della magistratura, e questo non è nell’interesse né de cittadini né delle istituzioni.