Dottor Cannatelli, da direttore generale di un’importante azienda ospedaliera, qual è il suo giudizio sul “caso Santa Rita”?
Da quando è stato introdotto il sistema di remunerazione a prestazione (il sistema Drg – diagnosis related group, ndr.) possono esserci stati degli opportunismi. Ma non si può, sulla base di quello che è successo – e che la magistratura dovrà valutare – mettere in discussione un sistema che riconosce a ciascuna struttura il suo valore aggiunto. E in Lombardia questo avviene non solamente con il pagamento delle prestazioni, ma anche dopo aver valutato la qualità delle strutture che erogano queste prestazioni. Infatti in Lombardia ogni struttura privata può essere accreditata se risponde a standard determinati – cosa che il Santa Rita ha fatto. Il fatto che degli operatori si siano comportati in modo opportunistico per valorizzare in modo scorretto le prestazioni che svolgevano, è un altro discorso.
La direzione aziendale di una struttura sanitaria può impedire che accadano fatti come questo?
Ci deve essere un controllo adeguato, e non solo rispetto all’efficienza nell’erogazione. La direzione sanitaria della struttura deve entrare nel merito e ci sono indicatori con i quali si possono individuare dove ci sono comportamenti strumentali o situazioni come quelle che sono state rilevate. E che devono essere sanzionate.
Come giudica le relazioni che intercorrono tra direzione sanitaria e professionisti medici nelle aziende ospedaliere? Quali sono le principali criticità esistenti?
Ci siamo organizzati – e non solo noi del Niguarda – in dipartimenti, dove sono i professionisti in primis a gestire e a organizzare la risposta al bisogno di salute. La direzione sanitaria, come la direzione generale, sono di supporto all’attività dei professionisti. Io non ho mai detto a un professionista “devi produrre di più o di meno”, ma di organizzarsi per interpretare la domanda. Poi il nostro compito è quello di dare, mediante linee guida, la risposta più qualificata e più appropriata. Tenendo conto naturalmente delle risorse che ci sono e utilizzandole al meglio.
Secondo lei il sistema di accreditamento lombardo funziona?
La legge 31 del 1997 ha introdotto una competizione regolata tra pubblico e privato, costringendo il pubblico a lavorare per garantire prestazioni qualificate perché non aveva più il monopolio. Adesso il pubblico è più efficiente. Sì, il sistema di accreditamento lombardo sicuramente funziona: basta dare uno sguardo a questi dieci anni, sul piano nazionale ma anche a livello internazionale. Il fatto stesso che moltissimi cittadini di altre regioni vengono a farsi curare in Lombardia, non per cose banali ma per patologie complesse, pensiamo a patologie chirurgico-oncologiche, o che implicano un trapianto, o neurochirurgiche, ha fatto del sistema lombardo un punto di riferimento perché ha messo a disposizione centri di eccellenza sia pubblici che privati.
Un modello “aziendale” per la sanità?
Niguarda è stato riqualificato dal punto di vista strutturale, tecnologico; sono stati messi a disposizione dei professionisti fior di tecnologie sia nel pubblico che nel privato, il che significa messe a disposizione dei pazienti della Lombardia, sì, ma anche del resto del paese. Ora Niguarda regge il confronto europeo. Modello aziendale? Se abbiamo utilizzato strumenti aziendali, come il sistema informativo, il controllo di gestione, la qualità, devo rilevare che abbiamo potuto recuperare, oltre alla qualità delle cure, anche efficienza su piano delle risorse da mettere a disposizione.
È vero che una struttura cerca di effettuare più prestazioni possibili per ottenere maggiori ricavi?
Prima veniva fatto un pagamento per le strutture pubbliche a piè di lista: a fine anno si presentava il conto dei vari ospedali e Ussl che veniva subito saldato, mentre le strutture private venivano pagate in base alle giornate di degenza. Adesso si paga quello che la prestazione dovrebbe contare. Prima c’era chi lucrava aumentando i ricoveri, mentre ora il problema è il pagamento sulla base delle prestazioni. Su questo la situazione si è stabilizzata negli ultimi tre anni, non solo per l’introduzione di “tetti”, ma anche per un controllo adeguato: alcune prestazioni sono state portate a livello ambulatoriale, altre a livello di day surgery o di day hospital. Ma il paziente è sempre complesso, per cui insieme a una patologia di base ce ne sono altre. Si può andare a verificare, ma la valutazione della necessità di un ricovero o di un intervento è responsabilità dei medici. Sono i professionisti che rispondono alla domanda: i pazienti vengono per loro. La tradizione del Niguarda è fatta da De Gasperis, Pellegrini, Belli e altri, che hanno saputo dare una risposta al bisogno facendo del Niguarda un ospedale di riferimento.
Possono esserci anche situazioni in cui il professionista è condizionato dalla prestazione. Come richiamava il presidente Formigoni, occorre una valutazione di come i professionisti si pongono a questo livello. Alcuni aspetti contrattuali possono essere rivisti in modo che uno non sia preoccupato più dell’aspetto di efficienza o quantitativo, ma dell’aspetto qualitativo e di ciò che effettivamente serve al paziente.
Pensa che siano necessarie modifiche nel sistema di remunerazione dei medici e nella modalità di rimborso delle prestazioni sanitarie, ora regolamentate attraverso i Drg?
Il sistema Drg è stato adottato per tanti anni, prima che venisse utilizzato da noi, negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo e ha saputo mantenere un equilibrio tra veri professionisti, che non hanno come prima preoccupazione quella del Drg. Anch’io programmo con i miei professionisti un budget all’inizio dell’anno e ci diamo degli obiettivi di quantità di risposta ma anche di qualità. Questo, dal lato del professionista, significa efficienza di fronte a una domanda di salute esistente, per cui, ad esempio, noi in certi periodi dell’anno spesso superiamo il nostro “tetto”, senza bisogno di andare a procurarci pazienti.