«…dopo un’ora il call center non rispondeva ancora e ho deciso di rinunciare fino all’indomani mattina!». Così potrebbe iniziare questo articolo con una nota biografica relativa alla migrazione dei sistemi di home banking di un grande gruppo bancario di cui sono correntista avvenuta all’inizio recentemente, che mi consente di analizzare alcuni dei problemi tipici delle fusioni tra imprese. Le fusioni aziendali, si sa, rappresentano processi organizzativi tra i più difficili, poiché generano di solito duplicazioni di persone, evidenziano l’incompatibilità tra i sistemi informativi e le procedure delle organizzazioni che si sono fuse. Fanno emergere differenze di natura culturale e valoriale tra le persone appartenenti ai diversi mondi che sono venuti a contatto tra loro. Pur essendo processi complessi e costosi con conseguenze anche su archi decennali, sono di solito decisi dal top management con poca sensibilità per quello che poi davvero succederà, sulla spinta di considerazioni di mercato e di potere personale ed organizzativo. Se dedicano del tempo o delle risorse alle cosiddette azioni di change management è per incaricare costosi consulenti di lavorare sugli elementi più immediatamente percepibili, come di solito l’integrazione dei sistemi informativi, ma anche qui con una logica più orientata al piano della compatibilità tecnica teorica che non al funzionamento a regime. Non ci deve stupire quindi se in molti ambiti questi processi hanno originato veri e propri disastri come nei casi di AOL-Time Warner o Daimler Chrysler per citarne solo alcuni.



Il settore bancario italiano sta vivendo una stagione di forte consolidamento attraverso operazioni di fusione complicate dall’assetto di poteri precedentemente in gioco (con evidenti parallelismi nel mondo delle utilities) che spingono a scelte di natura organizzativa bizzarre come la moltiplicazione dei centri di responsabilità o l’artificiale separazione di ambiti di influenza pur di garantire a tutti gli attori principali un piccolo orticello di potere quasi assoluto. In quest’ambito, un grande gruppo bancario nazionale ha affrontato a inizio settimana un’imponente migrazione di tutte le applicazioni di home banking sulla piattaforma di una delle banche acquisite (o fuse che dir si voglia) a seguito di un’omogeneizzazione dei sistemi informativi di gestione operativa delle attività. Questa scelta rappresenta il momento delle verità di un processo di cambiamento che è stato attivato da diversi mesi e che ha comportato un rilevante investimento di risorse e persone per estendere i sistemi a tutte le filiali del gruppo. A fronte di questo investimento in fase di disegno del cambiamento, tuttavia, anche in questo caso come troppo spesso accade nelle imprese italiane, non ci si è preoccupati di predisporre le risorse per supportare la transizione finale, nell’illusione che quello che viene tradizionalmente chiamato il “go live” potesse essere gestito integralmente dal personale sul territorio con limitati supporti rappresentati da dipendenti già esperti nel sistema. Ovviamente quello che è accaduto è stato l’ingorgo all’unico numero verde disponibile e il mattino dopo una situazione insostenibile a livello di molte filiali tempestate dalle richieste urgenti di clienti che o non riuscivano ad accedere o trovavano la loro operatività completamente modificata. L’illusione che il cambiamento fosse solo un fatto tecnico e che in fondo le persone sono in grado di adattarsi, siano esse personale o clienti, ha portato il management a gestire un processo così importante con leggerezza.



Come sempre accade, la situazione di emergenza andrà progressivamente a risolversi facendo leva sull’inesauribile risorsa data dalla volontà individuale delle persone di trovare delle soluzioni all’interno di un sistema di relazioni che lega giorno dopo giorno i dipendenti di front-office con i clienti, ma rimane la percezione di un management che soprattutto in Italia vive il suo ruolo gestionale con un profondo distacco dalla realtà. Un management concentrato o su azioni simboliche ad elevata visibilità o su decisioni astratte le cui conseguenze in fondo devono essere gestite da altri e di cui nessuno richiede come si dice in inglese “accountability”, ovvero presa di coscienza della responsabilità. Si tratta di uno dei tanti episodi che caratterizzano uno dei tasselli del cambiamento di questo paese che viene spesso trascurato, ovvero la pressante richiesta di un cambio significativo anche di una classe dirigente delle imprese che è troppo spesso così distante da ciò che gestisce da risultare ininfluente, o peggio controproducente.

(foto: imagoeconomica)

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