Con la manovra d‘estate, il complesso di provvedimenti legislativi varati dal Governo nel Consiglio dei ministri del 18 giugno scorso, si comincia ad avere la percezione operativa della rivoluzione accaduta con la tornata elettorale del 13 e 14 aprile. Un Governo forte, assistito da un Parlamento coeso, può pensare l’impensabile: il perseguimento, in tre anni e mezzo, del pareggio tra spese correnti e interessi passivi, da un lato, e entrate correnti, dall’altro, attraverso la riduzione delle spese e non l’incremento delle imposte. Infatti, la manovra rende realistico, finalmente, l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2011 a pressione fiscale invariata (43% sul Pil nominale).
Il risultato viene ipotizzato attraverso la stretta sugli enti locali e tagli in tutti i comparti dello Stato, a cominciare dalla scuola pubblica, ove è prevista l’uscita di ben 100 mila insegnati in tre anni.
Il debito pubblico nel 2011 dovrebbe scendere sotto la soglia psicologica del 100% del Pil, un risultato, che se raggiunto, insieme al pareggio di bilancio, collocherebbe il suo autore, Giulio Tremonti, tra i grandi della storia finanziaria italiana, insieme a Quintino Sella ed Ezio Vanoni.
Ma se è questo il dato forte della manovra, rilevanti sono anche alcuni provvedimenti specifici, che danno la cifra dell’azione di Governo e rafforzano la convinzione che le elezioni politiche hanno segnato un vero crinale della storia civile italiana.
Anzitutto la Robin Hood tax, un segnale della volontà dell’esecutivo di colpire settori mai veramente toccati dalla debole politica post tangentopoli: banche, assicurazioni e oil&gas (in cui sono non solo Eni ed Enel ma anche le municipalizzate). La manovra importa una addizionale del 5,5% all’imposizione diretta sui produttori energetici, una imposta sostituiva del 16% sulla rivalutazione obbligatoria delle rimanenze di magazzino (che, però, in realtà è una agevolazione), incrementa i diritti statali sulle estrazioni di idrocarburi e riduce la deducibilità degli interessi passivi e della variazione della riserva sinistri per i rami danni delle assicurazioni. Il gettito è certo ed importante (4 miliardi e per me forse più) e serve a compensare il taglio dell’Ici avvenuto a maggio e a finanziare un fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti che dovrebbe funzionare attraverso un innovativo sistema di carte di credito alimentate dallo Stato.
La storia dirà se queste misure avranno raggiunto lo scopo prefissato: smagrire un poco i pingui operatori nei settori interessati senza importare incrementi sulle bollette dell’energia, sugli estratti conto bancari e le polizze (tecnicamente si chiama traslazione d’imposta) e sovvenire veramente, senza che la solita elefantiasi pubblica si appropri delle risorse in modo autoreferenziale, le famiglie in difficoltà. Ma il messaggio è chiaro: il Governo non ha paura dei poteri forti ed è in grado di rafforzare il suo consenso con misure a grande impatto mediatico che facciano leva sugli squilibri socio economici in atto e sul perseguimento dei loro più o meno reali responsabili.
Poi una serie di provvedimenti molto tecnici sull’elusione: dalla patrimoniale sui fondi di investimento immobiliare “familiari”, cioè fatti da una famiglia con lo scopo di risparmiare le imposte e non di convogliare risparmio su iniziative edilizie, le abolizioni delle stock option, la riduzione dei privilegi al settore cooperativistico e il contrasto all’evasione fiscale perpetrata grazie alla assunzione di residenze fittizie all’estero. Da qui il gettito sarà non imponente, ma il messaggio ugualmente importante: questo non è il Governo degli evasori e in un momento di così grande difficoltà generale non è consentito sottrarsi allo sforzo collettivo per il risanamento finanziario dello Stato facendo i furbi o continuando ad operare in sacche di privilegio anacronistico (le cooperative). Assai simbolica, ovviamente, la previsione di abolizione delle stock option, caduta, fatalità, in coincidenza con gli arresti dei manager milionari degli hedge fund e delle banche americane.
Una norma di grande momento è relativa agli studi di settore e prevede che essi siano elaborati su base regionale o comunale. Questa previsione è a mio avviso centrale. In un provvedimento che si inquadra in un disegno di finanza pubblica così ambizioso il rimando agli studi di settore in una norma di completamento e raffinamento della relativa disciplina sta a dire che il Governo è pienamente cosciente che il risanamento dei conti sta nella gestione dei milioni di piccole e medie aziende che compongono il tessuto produttivo italiano. La spettacolare crescita nei gettiti cui si è assistito dal 2006 in avanti è frutto proprio della messa a regime degli studi di settore, fortissimamente voluti da Tremonti. Il fatto che il decreto legge testè varato li confermi del tutto e ne preveda semmai un raffinamento su base regionale o comunale sta a dire che il ministero dell’economia ha ben presente che è in questo comparto della fiscalità e non in altri, magari più sensazionalistici, che si nasconde la soluzione del problema del debito italiano. Tremonti vorrà evitare gli eccessi staliniani di Visco nell’uso dello strumento ma sarà, lo vedrete, un suo strenuo utente. Tant’è che il decreto legge contiene una norma che semplifica le paci con il fisco per i contribuenti minori che siano stati trovati non in regola con gli studi. Insomma, avanti con questo sistema ma facendolo diventare quel che deve essere: una forma di catastalizzazione dolce del reddito delle piccole e medie imprese, il più possibile aderente alla loro situazione media e gestibile senza eccessivi traumi individuali e di categoria. Questo, insieme alla efficentizzazione dell’amministrazione finanziaria, il vero motore della riforma fiscale italiana.
Altra misura significativa è quella che toglie del tutto i divieti di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro. Si tratta di una misura di libertà solo apparentemente contraria all’occupazione dei giovani. La possibilità di cumulo tra pensione ed altri redditi, oltre a creare nuova ricchezza non sommersa per i molti pensionati che fanno fatica ad arrivare alla terza settimana, rende meno traumatica l’uscita dal mondo del lavoro dipendente e sblocca posti per i nuovi entranti.
E poi semplificazioni, semplificazioni, semplificazioni. 100, ha detto Tremonti. Nell’amministrazione pubblica, nella sanità, nel mondo del lavoro, nell’economia e nel fisco, nell’edilizia, è tutto un togliere. E ciò sottende un’idea buona: ci fidiamo, ci fidiamo dell’interesse del cittadino a perseguire una positività per sé, che è poi per tutti. Le semplificazioni sono il software della politica finanziaria: facilitano e non costano e danno un senso di libertà e di leggerezza per i cittadini reduci dalla grevezza dell’impostazione occhiuta e sospettosa del precedente Governo. Ex multis: l’abolizione degli elenchi clienti e fornitori dalle dichiarazioni dei redditi di imprese e professionisti, il ritorno a 12.500 euro dai 5 mila del Governo Prodi della soglia per i trasferimenti in denaro, l’abrogazione della norma che aveva fatto impazzire i notai e che voleva la citazione negli atti di compravendita immobiliare dei certificati di conformità degli impianti.
Ora, l’opposizione, con Bersani, ha parlato di “fritto misto tra demagogia e tagli ai servizi”. Certo la Robin Hood tax lascia molte perplessità di metodo e apre numerosi interrogativi sulla sua efficacia nel conseguimento degli obiettivi generali che si pone, ma non c’è dubbio che l’azione del Governo Berlusconi in materia finanziaria si preannuncia assai efficace e innestata su linee di equità sociale che paiono assolutamente condivisibili. La sensazione generale è che si sia in presenza di una classe politica che, resa esperta da tanti anni di pratica di governo e parlamentare, sostenuta com’è da un blocco parlamentare forte e assolutamente maggioritario, sia in grado di condurre il Paese fuori dal cappio di un debito pubblico soffocante, senza per questo rovinare un’economia basata sulla libertà d’impresa. Perciò auguri a Berlusconi e Tremonti.
PS: Un rammarico: nell’ambito delle misure finanziarie non compare l’equiparazione delle scuole parificate alle Onlus, come previsto dalla legge sulla parità del 2000. La cosa costa poco ed è importante per centinaia di migliaia di famiglie: in regioni come Lombardia e Puglia, dove alle Onlus è tolta l’Irap, queste scuole verrebbero aiutate a vivere. Forse nell’iter parlamentare del decreto si può rimediare.