É stato davvero inutile il Vertice romano della Fao sulla sicurezza alimentare mondiale? Spente le luci sembra quasi che il mondo abbia risolto magicamente i suoi problemi, ma non è così.. Ci chiedevamo che cosa si sarebbe fatto dopo il 6 giugno, purtroppo la domanda non ha avuto risposte. Il quadro delle analisi appare generico, improvvisato e, soprattutto, inefficace. L’analisi di Christopher L. Gilbert fa eccezione per la chiarezza espositiva e la lucidità delle argomentazioni, ma in giro non se ne trovano molte dello stesso genere. Di solito ci si limita a rimasticare tutto ciò che “fa notizia”, e il documento finale di Roma non fa eccezione e forse non poteva essere diversamente. La grande passerella serve solo se prima si sono preparate le soluzioni, cercarle quella sede è pura utopia. Le soluzioni individuate in realtà non risolvono nulla, perché dimenticano che non vi è un solo problema, ma un insieme di concause che insieme hanno agito in questa fase. Il mondo non è alla fame oggi più di quanto lo fosse 12 mesi prima. Si sono modificati alcuni fattori di contesto più rapidamente di quanto fossimo abituati. Dicevo che il mondo alla prima curva della globalizzazione ha avuto paura di uscire di strada ed è così. La crisi riguarda i prezzi più che lo squilibrio fra offerta e domanda, ma pochi hanno detto che proprio per ciò prende forme diverse nei diversi paesi. Il richiamo emotivo dei paesi della fame ha agito nell’immaginario dell’umanità, ma forse i problemi più seri colpiscono i paesi a reddito pro capite medio basso con grande parte della popolazione inurbata, spinta alla disperazione più che precipitata nella fame. È in questi paesi che i rischi di gravi turbative possono divenire sempre più consistenti. Un secondo spunto di riflessione deriva dall’assoluta inadeguatezza delle misure di politica economica adottate dai vari paesi. Un arsenale di sciocchezze, inutili e controproducenti, a partire dall’Argentina che aumenta le tasse sugli agricoltori, passando per i paesi che dall’Ucraina in poi hanno bloccato le esportazioni fermando le navi nei porti, finendo con le catene commerciali inglesi che hanno imposto l’acquisto di due sole confezioni di riso a testa, con ciò facendo aumentare le vendite. Nel mezzo si collocano i paesi che impongono il blocco dei prezzi con ciò stimolando la borsa nera e l’India che sospende le contrattazioni a termine ben conoscendo l’inutilità della mossa.
Le soluzioni vanno cercate su due versanti. Il primo consiste nel non perdere la testa, la crisi ha una durata che non conosciamo, non deriva da improvvisa e irrimediabile carenza di prodotto, come le carestie del passato, può migliorare, sul piano dell’offerta, in pochi mesi, ma lascerà paradossalmente tracce sui costi più che sui prezzi che interessano solo le partite marginali e non la media delle quotazioni. Il secondo prevede un potenziamento della produttività dell’agricoltura basato sugli investimenti in infrastrutture idriche, di trasporto, di conservazione, e sull’introduzione di innovazione scientifica e tecnologica per contrastare i costi dei mezzi di produzione e per aumentare i rendimenti produttivi. Per fare ciò serve un grande impegno mondiale, ma soprattutto occorre che i singoli paesi mettano in atto una strategia molto semplice, ma efficace anche se meno “visibile” di quelle citate.
Se il vertice Fao avesse aumentato questa consapevolezza, allora non sarebbe stato del tutto inutile.