Il vertice FAO che si apre oggi a Roma, ben difficilmente raggiungerà i risultati che si prefigge non solo per contrastare l’emergenza alimentare più recente – determinata dalla combinazione di aumento della domanda dei paesi emergenti, insufficiente produzione e stoccaggio di riserve, speculazione politico-finanziaria – ma anche per rilanciare le politiche di lungo periodo (al 2015) che erano state varate nel 2000 nell’ambito degli obiettivi di sviluppo per il terzo millennio.



Lo scetticismo è (purtroppo) d’obbligo a giudicare dall’andamento dei lavori preparatori della conferenza e dal prevedibile uso propagandistico che di questo evento faranno alcuni capi di stato e delegati di spicco. Il summit della Fao è una vetrina politico-mediatica internazionale troppo importante perché alcuni si lascino sfuggire l’occasione di trasformarla a misura dei propri immediati interessi geopolitici. Penso ai leader dell’Iran e del Venezula impegnati a combattere – sul versante interno ed internazionale – gli effetti del loro auto-isolamento, a cui potrebbero aggiungersi anche altri leader, interessati a far pesare sullo scacchiere internazionale il proprio ruolo strategico, piuttosto che a perorare la causa dei più poveri.



Al vertice dalla FAO non mancheranno le dichiarazioni concilianti e la sottoscrizione di nobili impegni, ma è sui tempi di realizzazione di tali impegni che pende – non solo da ora – una permanente spada di damocle. Il tempo urge, sia per una tempestiva ed efficace lotta contro la fame endemica di molti popoli, sia per il rilancio della produzione agricola su vasta scala, da destinare all’autoconsumo prima che all’esportazione. Tra gli ostacoli che si frappongono all’incremento del benessere alimentare dei più poveri vanno ricordati anche il deficit di pace e di democrazia interna di molti stati, ovvero l’insensibilità di molti governanti dei paesi svantaggiati per le loro stesse popolazioni, in spregio dei più elementari diritti umani, come la vita e la libertà d’espressione. Valga per tutti l’esempio della Birmania (Myanmar). In queste circostanze, anche la cooperazione tra i governi non riesce a produrre i benefici sperati per le popolazioni ed anche il lavoro delle Ong – meno esposto alle regole diplomatico-burocratiche dei rapporti tra stati – è gravemente minacciato.



Cibo, energia, finanza sono oggi tra loro saldamente intrecciate e fanno dunque parte di un’unica partita da giocare, in modo coordinato, su più tavoli. Il vertice della FAO si misura con la fame di cibo – che colpisce immediatamente le popolazioni più fragili – ma anche con la fame di energia, che viene soddisfatta, in parte, destinando alcune colture alimentari ai biocarburanti; nello stesso tempo deve fare i conti con le tensioni neo-protezionistiche che attraversano la gran parte dei paesi più sviluppati in lotta contro la stagnazione-recessione.
All’o.d.g del summit vi è la costituzione di un fondo per gli aiuti ai paesi più poveri – stimato dalla FAO in circa 1,7 miliardi di dollari – e il varo di linee guida per regolare la produzione di biocarburanti: queste proposte verranno sottoposte all’approvazione della UE (in giugno) e del G8 di Tokio ai primi di luglio. Potremmo essere, in altri termini, alla vigilia di un inedito programma “Food for Energy”, che assegni alla sicurezza alimentare mondiale una specie di royalty internazionale sulla produzione di energia.

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