Dottor Francesco Dell’Aglio, lei lavora nella clinica Santa Rita. Vuole parlarci della vicenda?
Lavoro nell’unità operativa di Urologia, una delle unità operative implicate nel caso. Il mio primario e un altro urologo sono agli arresti domiciliari. Diciamo che fra i tanti sono quelli che forse hanno meno da preoccuparsi, alla fine verrà fuori che sono stati accusati di fatti che non sussistono. Perchè visti gli atti, vista la comunicazione dell’arresto, hanno avuto una contestazione di alcuni tipi di Drg. Val la pena di ricordare che i Drg sono gruppi di diagnosi correlate: a fronte di un’operatività determinata viene elargito un certo rimborso. Il sistema Drg è nato negli Stati Uniti, dove però viene utilizzato, in maniera diversa, dalle assicurazioni. La nostra sanità lo ha mutuato. Cercare di guadagnare col servizio sanitario è abbastanza ostico, al massimo si può andare in pari. Se riesci a guadagnare o è perchè lavori tanto, o perché c’è qualcosa che non va. Noi, obiettivamente, lavoriamo tanto. Io non facevo quasi mai, prima dei fatti del Santa Rita, meno di 12 ore di lavoro al giorno.
Dicendo “noi” si riferisce a tutto il Santa Rita?
Io parlo naturalmente a titolo personale. La mia attività non aveva e non ha nessun legame con il fatturato. Il premio di produzione era sempre fissato a obiettivi irraggiungibili e di fatto mai raggiunti dalla mia unità operativa. Io prendevo una compartecipazione su una parte dell’attività ambulatoriale, cioè per ogni visita fatta prendevo un corrispettivo “simbolico” di 2 o 3 euro e lo stesso avveniva per le ecografie e per la diagnostica. Ma che noi lavorassimo o producessimo per 100 milioni di euro o 5 milioni di euro non cambiava nulla. Se avessimo raggiunto gli obiettivi avremmo avuto il premio di produzione, ma non l’abbiamo mai raggiunto. Molte unità operative lavorano così. Alcuni medici erano pagati in percentuale in base al Drg prodotto: la loro attività fruttava un rimborso sul quale prendevano una percentuale, forse l’1% ma che poteva variare da medico a medico. Stava nel loro contratto essere retribuiti in questo modo.
Il sistema sanitario è molto complesso e spesso i giornali operano delle semplificazioni indebite. Può spiegare come funzionavano le cose a un lettore che non conosce la sanità dall’interno, ma ha solo il filtro dei media?
Al primario della mia unità operativa, ora agli arresti domiciliari, contestano l’appropriatezza delle richieste di rimborso: quando il medico fa la pratica della dimissione ospedaliera compila una scheda con la patologia, l’intervento svolto, e mette un codice in base al quale viene chiesto un rimborso. Non entro nel merito del fatto che si chieda al medico di svolgere una mansione prettamente amministrativa e sono anni che contestiamo che sia il medico a fare questo.
Il problema, ora, è che si tenta di far rientrare tutto ciò che si è fatto in categorie, per esigenze di semplificazione, ma sono cose che non sono affatto semplici. Mi spiego. È semplice far rientrare la codifica del Drg per quelle procedure chirurgiche classiche e di routine, perché queste sono comprese nell’elenco delle procedure che la Regione riconosce come eseguibili e quindi rimborsabili. Per altre procedure, in particolare quelle più recenti, la cosa si fa difficile perché non sono comprese in quell’elenco. Bisogna quindi cercare di fare rientrare le procedure moderne all’interno di questo elenco, ma spesso non è semplice.
Viene contestato poi l’uso degli ultrasuoni ad alta intensità per bruciare i tessuti nella cura dei tumori. Per qualche tempo questa tecnica è stata utilizzata in Santa Rita per il tumore alla prostata, ma hanno contestato che il codice non doveva essere “altri interventi sull’apparato riproduttivo maschile per neoplasia maligna”, ma “altri interventi… escluso per neoplasia maligna”, così si paga di meno. Ma perchè io non dovrei scrivere che si usa per i tumori, se si usa per quello? Non è possibile scrivere una cosa per un’altra, in quel momento scriverei il falso. Se la Regione vuole che noi scriviamo questo perché costa meno, allora dicano chiaramente che non ci sono soldi per i rimborsi. Ebbene, tutto questo è scritto sulla richiesta formale di carcerazione preventiva del primario.
C’é un altro codice che i giudici contestano, un intervento con codice apposito per prostatectomia transuretrale. Su alcuni pazienti veniva fatto tale intervento con in più un accesso solo pubico, con uno strumento dedicato, per avere la possibilità di svolgere meglio l’intervento rispetto al solo lavoro dall’uretra. In buona sostanza, in alcuni casi simili si facevano due accessi anziché uno solo, uno transuretrale e uno secondario. È stato contestato che bisognava mettere solo il primo.
Sarebbe quindi l’esempio di un intervento superfluo.
Se non viene fatto il secondo acceso l’intervento si rivela molto più lungo, per il chirurgo ma anche per il paziente.
In ogni caso è come se l’intera vicenda, nel tempo, abbia assunto contorni sempre meno definiti. Che cosa accadeva in realtà nel Santa Rita?
Io, da quello che ho letto, posso spiegare quello che non è successo. Oggi qualcuno che lavorava nella clinica (e ha venduto delle foto), ha raccontato alla stampa che le sale operatorie venivano pulite solo in occasione dei controlli dell’Asl. Ma non è così. Per esempio, la macchina che sterilizza i ferri ha un microchip grazie a cui si possono verificare tutte le volte in cui è stata utilizzata. E di solito non vengono fatti cicli di sterilizzazione a vuoto. Inoltre, quando vengono aperti i pacchetti dei ferri sterilizzati, è possibile verificare l’effettivo processo di sterilizzazione tramite una striscietta, che non viene buttata, ma conservata per garantire che il materiale è stato sterilizzato. Queste sono cose di routine, l’Asl ha svolto i controlli e non ha mai riscontrato nulla di anomalo. Se non fossero state presenti le striscette l’Asl avrebbe già chiuso tutto tramite l’ufficio di igiene.
Poi si sono raccontate cose non vere, per esempio che la gente sia scappata quando c’è stato il congelamento della convenzione. No: la convenzione è in essere, sono stati congelati i contratti ma il personale può lavorare. Non è stato tolto l’accreditamento, la clinica è una struttura sanitaria a tutti gli effetti perchè tutti i controlli andavano bene, quindi non possono togliere un accreditamento confermato il giorno prima.
Attualmente lavoriamo con i solventi, ma è chiaro che una clinica con otto sale operatorie, 275 posti letto e 100 dipendenti non può reggersi sui solventi. Abbiamo deciso di non operare, perchè al minimo imprevisto si sarebbe scatenato un ulteriore putiferio. Gli anestesisti inoltre devono spesso testimoniare in tribunale, per cui non è concretamente possibile svolgere interventi senza anestesisti. Facciamo solo visite ambulatoriali.
Qual è la vostra condizione attuale?
Siamo in una fase di stand by. Abbiamo subito controlli approfonditi da parte di Finanza, Regione, Asl, ispettori del Ministero. Quando sono arrivati probabilmente pesavano di trovarsi davanti alla casa dei tre porcellini, invece hanno dovuto constatare di trovarsi davanti a una struttura all’avanguardia. Se poi qualcuno, in particolare i signori della chirurgia toracica, hanno fatto cose che non andavano fatte, questo non so. Io parlo di quello che succede nella mia sala operatoria. Non è come in un ufficio, dove in un modo o nell’altro uno vede quello che fanno gli altri. Perché io dovrei andare a vedere la cartella clinica di un paziente che non è affidato a me? Non sono autorizzato a farlo. È vietato.
Può spiegare meglio?
A giugno del 2007 arrivano gli avvisi di garanzia, vengono riscontati cinque casi di erronea gestione di pazienti toracici affetti da tubercolosi e a settembre la clinica subisce la sospensione della convenzione per la chirurgia toracica. Avevano rilevato che era stata riscontrata l’esecuzione di interventi chirurgici non adeguati in pazienti affetti da tubercolosi. Com’è accaduto? Un paziente della Santa Rita era andato a Villa Marelli, lì hanno capito dalla cartella cos’era stato fatto e hanno segnalato la cosa all’Asl, che ha sospeso la convenzione per la chirurgia toracica.
A gennaio è arrivato il nuovo primario, con il nuovo personale, forse tranne uno che prima era assistente e che non era stato allontanato, e ha riaperto la chirurgia toracica. Il nuovo primario si è beccato tutto il fango indirizzato a chi lo ha preceduto.
Nessuno, però, quando è scoppiato lo scandalo ha mai detto che adesso il reparto era gestito dal professor Volpato dell’Università di Pavia e non dal dottor Brega Massone, mandato via a settembre dell’anno scorso. Il professor Volpato non c’entra niente, è un altro primario, con un’equipe diversa. La cosa per lo meno singolare è che – pur con l’indagine in corso – è stato permesso al dottor Brega Massone di poter lavorare in un’altra struttura. Chi ha permesso che un medico sospettato di aver cagionato danno a pazienti continuasse ad esercitare in altre strutture, non è meno colpevole di quello stesso medico.
Poi esce l’accusa di omicidio. Allora ci si chiede se effettivamente abbia fatto qualcosa prima, visto che poi l’anno lasciato andare in giro. Io non farei andare in giro uno che mi ha creato un problema di questo tipo, perchè pare che l’intera classe di una scuola si sia infettata di tubercolosi. A me, come medico, dà fastidio pensare che un collega causi la morte di un paziente. Atto volontario e con crudeltà, così era scritto. Adesso il tribunale del riesame ha tolto l’accusa e ha mandato i periti a fare il riesame dei cadaveri per verificare se c’è o non c’è causa.
Secondo lei esistono certi meccanismi, a metà tra la sfera professionale prettamente medica e quella tecnico-amministrativa, che incentivano certi comportamenti?
Beh, come è stato detto anche sui giornali, se io vengo pagato sulla base di quanto lavoro, mi viene da lavorare di più, è inevitabile. Però – e forse è una cosa di cui l’opinione pubblica non si rende conto – da lì a mettere una persona sul tavolo operatorio, ne passa. Un conto è la cura farmacologica, un conto è l’intervento chirurgico. Non è detto che un intervento chirurgico sia risolutivo: questo è un fattore al quale normalmente non si pensa. Il rischio c’è sempre, anche negli interventi che possono sembrare semplici; per questo, prima di operare, ci si pensa molto bene. Si tratta di un lavoro pericoloso.
Io non so se chi è indagato ha forzato le indicazioni. Per quanto riguarda la mia unità operativa, che le indicazioni fossero forzate era fasullo. Prima di fare qualsiasi cosa parliamo col paziente ed è lui a decidere. A volte decide di non fare niente e noi non lo obblighiamo. Rimane un margine di opinabilità sulle terapie che non può essere contestato a priori. Non c’è l’obbligo di operare e il paziente non ha l’obbligo di accettare l’operazione, ma certe scelte dell’équipe medica possono essere comunque giustificate e sono documentate.
Per un certo periodo ci era stato vietato di mettere in cartella clinica qualsiasi documentazione personale del paziente. Dovevano esserci solo gli atti relativi al ricovero, per esempio non era possibile allegare esami o accertamenti fatti in altre strutture, poi è stato riscontrato che in alcuni casi mancavano esami istologici in alcuni tipi di tumori. Ci possono essere condizioni o malattie concomitanti che rendono sconsigliabile l’intervento. La biopsia eseguita presso un’altra struttura all’inizio non veniva allegata in cartella. In seguito ci venne chiesto di allegare in cartella anche quella documentazione di provenienza “esterna”. Tutti hanno iniziato a pensare che noi stessimo imbrogliando. Allora alla clinica non si dia la convenzione, ma non può esserci un pregiudizio negativo sulla sanità privata.
E il caso del tendine di cui si è parlato su giornali?
Il famoso tendine dell’intercettazione telefonica ripresa da giornali e tv? Si trattava di un tendine prelevato da un cadavere, da inserire nel menisco per ricostruire quello di un nostro collega che lavora in cardiologia. La collega che doveva operarlo il giorno prima ha telefonato alla Banca dell’Osso chiedendo il tendine giusto per fare un buon lavoro. Dalla banca dell’osso viene mandato il tendine. Al momento dell’intervento scoprono però che il tendine in questione non era quello richiesto, ma un tendine rotuleo, in ogni caso un tendine sano che è stato possibile utilizzare. La bolla di accompagnamento era però quella del tendine promesso. È finito tutto con una telefonata di spiegazione tra la dottoressa e la Banca dell’Osso.
È invece passata l’idea che ci fosse un mercato dei pezzi.
Assolutamente no. Hanno preso un pezzo di una telefonata, anzi un set di tre telefonate – in cui c’erano il pre “mi mandi questa cosa”, il durante “guarda che questo pezzo che mi hai mandato non è quello che mi hai promesso”, il dopo, qualcosa come: “allora cosa facciamo? la carta di accompagnamento me la butti, ti mando quella originale perchè ti devo mandare la bolla da appiccicare su” – e ne è uscito tutt’altro, come se venissero adottate soluzioni di ripiego. Invece è quello che avviene normalmente: c’è una banca dell’osso, il Gaetano Pini, che vende pezzi di cadavere. Se lei dona gli organi, non è che le tolgono solo fegato o polmoni, ma la smontano completamente. Se un tendine è in buono stato, poiché non si degrada viene messo da parte per sostituire altri legamenti
Che idea si è fatto dell’intera vicenda?
Per ora si può certamente dire che è stata fatta una precisa operazione di demolizione d’immagine della struttura, organizzata non si sa perché. So solamente che il venerdì precedente il blitz era stata fatta una valutazione della struttura pari a 800 milioni di euro. Alla fine della settimana valeva 200 milioni di euro. Poi c’è senz’altro il fatto che si sia trattato di un attacco al modello di sanità di Formigoni. Il quale ha reagito come credo avrebbe fatto chiunque. Pensi poi che c’è un gruppo di quartiere che si chiama “Contro l’Elefante”. L’elefante è il Santa Rita, accusato di essere una struttura mastodontica in mezzo a Città studi, che mangia villette, provoca traffico, toglie i parcheggi. Naturalmente dicono che al posto del Santa Rita si dovrebbe fare un parcheggio. Ma chi lo dice non sa di cosa parla, perché la struttura è vincolata per fare l’ospedale.
Perchè era stata fatta quella prima valutazione?
C’erano già state diverse proposte d’acquisto, ma il proprietario aveva sempre detto no. Si tratta di una struttura che ha sempre attirato diversi acquirenti.
Lei come fa a saperlo?
Voci che girano. Che fosse stata valutata 800 milioni di euro era una cosa risaputa. È chiaro che perdendo la convenzione, il valore cade. La convenzione è stata sospesa, la sospensione sarebbe stata rivista nel momento in cui avessimo cambiato amministratore, nel momento in cui avessimo rifatto unità operative nuove senza quei medici. Queste erano le condizione poste dalla Asl per riaprire la convenzione.
Ora è stato nominato un nuovo amministratore, quindi sono state rispettate le richieste dell’Asl per togliere la sospensione della convenzione. L’amministratore ha già presentato – anche all’Asl – un piano di governance della struttura e dovrebbe fornire il 30 giugno, domani, i nomi del nuovo consiglio di amministrazione. Questi nomi, e il piano di governance, dovranno poi essere valutati dalla Asl e dalla Regione prima che venga tolta la sospensione.
La parte del leone l’hanno fatta le intercettazioni.
La mia opinione è che al telefono si può dire quel che si vuole. Prenda la famosa frase “era una macchina da guerra”, riferita a Scarponi. Poteva essere semplicemente uno sfogo tra persone che non sono in buoni rapporti, come capita ovunque. D’altra parte era noto che tra la dottoressa Galasso e il dottor Scarponi non corresse buon sangue. Credo che sia stata lei a dire di lui che “operava anche cadaveri”. Ma poteva essere semplicemente uno sfogo d’ira.
Adesso cosa sta accadendo?
Molti miei pazienti mi hanno detto che i giornalisti dicevano “se parla male la intervisto, altrimenti no”. Abbiamo ancora gente che viene a dirci “Quando aprite?” Ma la gente non ha capito che quello che è successo ha provocato la chiusura della convenzione. Pensano che al Santa Rita non si voglia fare, per esempio, un’ecografia. Rispondere “a pagamento si può fare” non è bello. C’è gente che aspetta. La stragrande maggioranza dei pazienti che erano in attesa di essere operati non hanno ritirato la loro proposta di ricovero, ma anzi, spesso, ci vengono a chiedere quando potremo operarli. Questo significa che comunque, nonostante tutte le cose che sono state dette e scritte su di noi, la gente ha ancora fiducia nei medici della Santa Rita, nei propri medici.
Come spiega la faccenda degli interventi inutili?
Tranne i pazienti che vengono ricoverati dal pronto soccorso, per i quali, di solito, non c’è una richiesta specifica del medico di base, per tutti gli altri – quelli che vengono ricoverati “in elezione” come si dice – esiste una richiesta del medico di base perché venga eseguito l’intervento chirurgico. Mi spiego: vedo un paziente in ambulatorio, faccio fare degli accertamenti al termine dei quali decido che secondo me il paziente deve essere operato. Non faccio altro che scriverlo al suo medico di base e consegno al paziente stesso un modulo, la proposta di ricovero, che dovrà presentare all’ufficio ricoveri. Assieme a questo modulo dovrà essere allegata, oltre ad altri documenti, anche la richiesta specifica del ricovero per intervento chirurgico redatta dal medico di base (su ricettario regionale). Quindi non posso autoprescrivermi un intervento inutile. Se il medico di base non vuole, io non posso operare il paziente.