L’impennata inflazionistica nel prezzo dei beni alimentari e del petrolio registra analogie sempre più pronunciate, ma ancora più accentuate, con la prima grande crisi petrolifera dell’inizio degli anni ’70: se misuriamo la dinamica dei prezzi in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, il prezzo del petrolio ha superato ogni suo precedente massimo storico, così come accade per il prezzo del grano, del frumento, del riso e dell’olio di semi. Allora come oggi l’origine dell’impennata inflazionistica fu un prolungato periodo di abbondante liquidità mondiale: nell’agosto del 1971 Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro, segnando il passaggio a un nuovo e più flessibile regime di cambio fra le monete, mentre nell’agosto del 2007 la crisi dei mutui ha innescato una crisi finanziaria mondiale, tuttora in corso.



L’aumento in termini reali del prezzo del petrolio, distribuito nel corso degli ultimi anni, è stato assorbito dall’economia mondiale con una rimarchevole, e scarsamente notata, capacità di adattamento. Ma la rottura strutturale che all’inizio degli anni ’70 fu provocata dal petrolio, è oggi invece causata dalla combinazione dall’aumento eccezionale del prezzo del petrolio con quello dei beni cereali e del cibo. E’ cruciale comprendere se, come è probabile, ci troviamo di fronte a un nuovo cambiamento strutturale. Come allora il rapporto fra stock e consumo di cereali è sceso ai suoi minimi storici. La differenza centrale è che mentre la mancanza del petrolio può essere parzialmente assorbita modificando le abitudini di consumo, fino a provocare una recessione, la mancanza di cereali e cibo è ancor meno sostituibile del petrolio, perchè causa la fame, nei paesi emergenti ma anche nei paesi sviluppati, fra i gruppi sociali a più basso reddito. Questa è oggi la grande differenza rispetto ad allora, che marca anche la gravità della situazione. Ma ciò significa che la prima grande priorità da affrontare è rappresentata dall’emergenza alimentare. L’ulteriore fondamentale differenza è rappresentata dal fatto che l’evoluzione dei mercati finanziari ha trasformato tutte le risorse naturali, rinnovabili e non, in attività scambiabili sulla base delle aspettative sul futuro. La dinamica dei prezzi delle materie prime agricole è diventata estremamente volatile e soggetta a movimenti speculativi: se è vero che il prezzo di pane e pasta è aumentato a causa dell’aumento delle materie prime, allora dovremmo anche iniziare a registrare una parallela diminuzione dei prezzi di pane e pasta, perché il prezzo del frumento sul mercato mondiale ha registrato una brusca inversione di tendenza, tipica delle dinamiche speculative.



E’ questo un aspetto che andrebbe adeguatamente monitorato all’interno di ogni paese, per evitare che, come spesso accade, i prezzi aumentino ma non diminuiscano mai. Al tempo stesso occorre mettere in opera tutti quei provvedimenti che possono attenuare le brusche oscillazioni di breve periodo, in particolare con un aumento delle scorte rispetto alla domanda: le scommesse aperte sui raccolti futuri, sotto forma di contratti, non dovrebbero superare la quantità prodotta. In modo parallelo occorre inquadrare il problema in una prospettiva di più ampio respiro, che ponga al centro gli squilibri strutturali da cui l’attuale crisi ha le sue origini. In questo senso va collocata una simulazione al 2017 della Fao: i prezzi dei cereali dovrebbero diminuire, pur rimanendo molto più volatili, ma il messaggio centrale della simulazione è in realtà l’elevato grado di incertezza dei risultati, che si assume dipendere dalla dinamica della domanda aggregata e per biocombustibili, dai prezzi del petrolio, dai margini di ulteriore crescita dei rendimenti agricoli. Per di più la simulazione della Fao non incorpora la risorsa che da molti viene indicata come quella più strategica per il futuro dell’agricoltura e cioè l’acqua.



Per una di quelle ironie di cui la storia è ricolma, la questione del cibo e dell’agricoltura, considerata ormai un residuo del passato, ritorna invece al centro di qualunque credibile progetto per il futuro.

(Foto: Imagoeconomica)

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