Caro Direttore,
Il termine (Robin Hood Tax ndr) è tremendo: fa scena certo ma è populismo. Mi spiace, è così. Io sono stato e sono un fan sfegatato di Tremonti, ho sempre apprezzato l’intelligenza che si celava dietro la sua linea apparentemente obliqua e invece sommamente realistica. Il suo condonismo, che generava ribrezzo nei puristi, mi mandava in brodo di giuggiole, perché ci vedevo la tecnica di un uomo esperto di psicologia sociale di cavare gettito, in un momento di grave crisi internazionale (post 11/9), senza darlo a vedere.
Ma le sue dichiarazioni sulla Robin Hood Tax mi lasciano assai perplesso. Che risolve tassare di più banche e petrolieri? Una goccia nel mare, un rischio enorme di aprire il fronte delle tasse etiche (orrore!), la creazione di possibili distorsioni nella concorrenza. Gli effetti sull’inflazione? Nulli. L’energia è cara in Italia per problemi ben più strutturali, dal rifiuto nichilista del nucleare (salvo comprarlo salato dalla Francia che lo produce ai nostri confini) all’impazzimento delle procedure per le centrali eoliche e solari. Le banche sono costose per il modo come è stata gestita la concentrazione bancaria e per la vischiosità delle relazioni industriali e non per la crisi dei subprime.
Capisco Tremonti solo se mi metto in una logica tutta politica. Il Governo si trova di fronte alla scommessa delle scommesse: ridurre le tasse per far ripartire l’economia, senza scassare ulteriormente il debito pubblico. E’ come buttarsi nel buio, sperando di cadere su un cuscino. Indietro non si può andare, perché la politica delle alte tasse, di cui Prodi è stato il campione, ha prodotto una crescita omeopatica, pur in periodo di buon andamento dell’economia, figuriamoci ora che le cose vanno male a livello planetario. Avanti si può andare solo avendo fiducia che: a. se si riducono le tasse, gli italiani dichiareranno spontaneamente di più; b. se si riducono le tasse, gli italiani produrranno di più. L’effetto combinato di a. e b. (maggiore onestà e maggiore ricchezza) non farà diminuire il gettito, nonostante il calo delle aliquote nominali. E’ una scommessa da qualche decina di miliardi di euro. E’ la scommessa che può fare entrare nella storia un ministro delle finanze o condannarlo al ludibrio. E’ una scommessa che andrebbe giocata con un Paese più fluido, nelle relazioni industriali, nei servizi pubblici, nei meccanismi decisionali (nucleare si o no? mondezza si o no?, ponte sullo stretto si o no?, federalismo si o no?), nel funzionamento della giustizia, per evitare che l’impulso antistatalistico si impastoi subito nelle mille difficoltà della vita economica quotidiana.
Allora, se considero il brivido di questa scommessa, il cui esito non è il risultato di una formula matematica, ma il combinarsi di milioni di fattori che richiedono un fronte allargato di misure difficili da congeniare e lente ad operare sul corpo sociale, posso capire Tremonti, che prende tempo, lavora di sponda sul disagio sociale, creandosi spazi, anche di consenso a sinistra, per misure speriamo ben più incisive.
Ma detto questo, capito questo, devo dire che non sono d’accordo, anche nei modi coi quali la faccenda è comunicata.