I potenti della terra, o almeno alcuni di coloro che passano per esserlo, si trovano in questi giorni a Roma per affrontare l’emergenza alimentare che è esplosa nei primi mesi dell’anno, inattesa dai più, ma non imprevedibile se solo se ne fossero voluti scorgere i segnali già nella seconda metà del 2005.
L’opinione pubblica è frastornata da un volume di informazioni talmente ampio da risultare addirittura controproducente. I temi si intrecciano, come gli incontri e le occasioni di confronto, sembra quasi che un eccezionale party abbia luogo sotto gli occhi preoccupati di una grande parte del mondo che aspetta risposte, ma rischia di essere sommersa da una valanga di chiacchiere inconcludenti.
Per non essere della partita, vorrei limitarmi ad un problema, quello sollevato da un’umanità che ai più diversi livelli di sviluppo ha comunque bisogno di nutrirsi e che non può aspettare per avere le risposte che chiede che i potenti abbiano finito di trattare tanti argomenti, alcuni importanti altri meno, ma nessuno decisivo come questo. Il fattore scatenante è certamente l’impennata dei prezzi. Senza addentrarci nell’analisi delle cause, ne abbiamo già parlato a fine aprile, vorremmo invece cercare di dare qualche indicazione su che cosa fare da domani, quando il vertice sarà finito e finalmente dovremo occuparci di risolvere qualche problema. Per farlo occorre definire l’obiettivo primario delle politiche agrarie e cioè l’impegno di garantire sicurezza agli approvvigionamenti alimentari, seguendo le crescenti necessità di una domanda di alimenti in continua evoluzione in un contesto in cui dominano la volatilità dei prezzi e l’instabilità dei mercati. Non dimentichiamo che la tavola del mondo non può ampliarsi per motivi ovvi, ma che il numero dei commensali è in costante aumento e che ognuno di essi consuma quantità crescenti di alimenti di qualità sempre migliore. Il problema su cui ci si deve confrontare, dunque, è quello di assicurare a tutti, ai diversi livelli di sviluppo e di consumo, attuali e potenziali, ciò di cui ha bisogno, senza pretendere di scegliere per gli altri o di impartire lezioni non richieste. Ci si può chiedere se il mondo possa sostenere una popolazione crescente con bisogni anch’essi in aumento, la risposta è affermativa, ma quasi nessuno lo dice.
Il tasso di incremento della produzione agricola in tutti questi anni ha continuato a progredire, nonostante le ricorrenti avversità atmosferiche, senza scomodare il cambiamento climatico che potrebbe avere aspetti positivi da non sottovalutare, ed è stato in grado di far migliorare la disponibilità pro capite di cibo nonostante l’incremento della popolazione mondiale. I rendimenti produttivi salgono di più nei paesi emergenti e in via di sviluppo che in quelli sviluppati, dove le politiche agrarie degli ultimi due decenni li hanno bloccati ed anzi li hanno fatti arretrare. Vi sono ancora ampi margini di miglioramento all’interno delle tecniche produttive attuali che derivano dalla rivoluzione verde promossa nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, ma non dimentichiamo che margini ancora superiori sono collegati allo sviluppo delle tecniche produttive che ancora devono entrare in un uso generalizzato. Ma si può fare molto anche su altri versanti, come quello della conservazione post raccolta, un aspetto che ancor oggi in molti paesi è trascurato e causa perdite inimmaginabili. Tecnologie semplici ed alla portata di tutti i produttori del mondo sono possibili e note, anche senza entrare nel dibattito sugli Ogm, un tema chiave da risolvere, ma che in questo momento rischia di risultare fuorviante a causa della carica ideologica che lo anima. Il compito di un vertice che sia mosso davvero dalla volontà di porre rimedio alla situazione di crisi di questi mesi è quello di trovare soluzioni e non di occuparsi di tutti i temi che dividono il mondo. La produzione agricola, da quando nell’Ottocento ne furono scoperte le leggi scientifiche, ha continuato ad aumentare, migliorando il volume dell’offerta, la varietà e la qualità degli alimenti e riducendo i costi. Tutto ciò non finisce nell’arco di poche decine di mesi. Non si può trascurare, ad esempio, che i grandi raccolti di cereali si susseguono nel mondo ogni 6 mesi nei due emisferi, e che le previsioni per quello nord sono per una produzione record in Europa, Asia e America, mentre le proiezioni per l’altro emisfero, per quanto premature, sono altrettanto positive. La Commissaria europea all’agricoltura, Fischer Boel stima che il raccolto dell’emisfero nord potrà consentire di soddisfare la domanda mondiale senza intaccare le scorte, dopo tre anni in cui invece ciò è avvenuto. Occorre dunque molta prudenza per non alimentare, con misure improvvisate ed emotive, la corsa dei prezzi.
Invece molti governi sembrano aver perso la testa già da qualche mese. Vi è chi ha fermato nei porti le navi già cariche di cereali da esportare, chi ha imposto assurdi e aggirabili blocchi dei prezzi, chi ha dimezzato le porzioni nei ristoranti, chi ha messo sotto contratto superfici agricole in altri paesi per fronteggiare la crisi, chi vende pane a prezzi di calmiere producendolo nelle cucine dell’esercito e degli enti pubblici, chi limita la vendita di riso nei supermercati a due confezioni pro capite indipendentemente dal peso, chi sospende le contrattazioni a termine e chi propone di farlo anche da noi, senza pensare che così si fa aumentare la speculazione anziché contrastarla.
Il mondo, impazzito, sembra uscire di strada alla prima curva della globalizzazione. Emergono addirittura spinte protezionistiche che si credevano ormai sepolte, attuarle sarebbe come usare la tecnica dello struzzo. Ai potenti della terra si chiede di non perdere la bussola, di saper distinguere fra aiuti alimentari di breve durata legati all’eccezionalità di situazioni particolari e problemi di fondo, di continuare sulla strada della libertà degli scambi e dell’incremento della produttività in agricoltura, magari cercando di introdurre nei rispettivi paesi trasparenza negli scambi e nei rifornimenti attuando una sostanziale democrazia nei fatti più che negli schemi ideologici. Solo così possiamo guardare con fiducia ad un futuro in cui tutti ci siederemo a quel tavolo e mangeremo di più e meglio, in fondo non è chiedere troppo. Ma qualcuno saprà raccogliere questo invito, in apparenza troppo poco vistoso?