La dichiarazione finale del Vertice della Fao sulla sicurezza alimentare del 3-5 giugno a Roma presenta elementi ambigui e scontati ed elementi che vanno nella giusta direzione. Pur nella genericità del compromesso finale, i punti più condivisibili sono quelli relativi alle misure di medio-lungo periodo (e sono state scongiurate alcune posizioni ideologiche o di retroguardia): più investimenti in agricoltura, a vantaggio dei piccoli contadini; creazione di scorte alimentari adeguate; ulteriore liberalizzazione del commercio alimentare, difesa della biodiversità sviluppo ed uso responsabile e sostenibile dei biocarburanti. Sono previste misure a breve termine per scongiurare l’emergenza e misure a medio e lungo termine per favorire lo sviluppo dell’agricoltura nei paesi poveri.
Nel preambolo della dichiarazione finale, i Governi si impegnano a mettere la questione della sicurezza alimentare al centro della loro agenda politica, a partire dal prossimo G8, ed ad aumentare gli stanziamenti per la lotta alla fame nel mondo. L’obiettivo è di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 2015. Questa è la parte più scontata.
Tutto dipenderà dalle modalità di attuazione degli obiettivi dichiarati, soprattutto quelli di medio-lungo periodo, che tuttavia sono migliori delle posizioni iniziali. Le dichiarazioni dei primi giorni del Vertice avevano evidenziato che i potenti del mondo, riunitisi alla FAO per affrontare l’emergenza cibo e l’aumento delle prezzi delle commodities agricole, erano divisi su tutto. Non concordavano sulle cause dell’aumento dei prezzi delle commodities agricole. Tanto meno nelle risposte politiche.
In linea generale, tutti i rappresentanti al Vertice Fao erano abbastanza concordi nell’attribuire l’aumento vertiginoso dei prezzi agricoli ai noti fattori: gli scarsi raccolti degli ultimi anni, l’aumento della domanda di prodotti alimentari alla crescita della popolazione e allo sviluppo economico di alcuni paesi emergenti, l’aumento di domanda derivante dai biocarburanti, la speculazione. Ma le valutazioni sul “peso” di queste cause erano ben diverse.
Alcuni rappresentanti al vertice Fao hanno enfatizzato la crescita della popolazione e del Pil in alcuni Paesi emergenti che hanno generato un aumento della domanda alimentare. Sicuramente questi fattori hanno influito, ma non tutti concordano che questo possa aver causato la bolla dei prezzi; lo stesso rapporto Fao-Ocse, recentemente diffuso, riporta dei dati sulla domanda ed offerta mondiale che non giustificano l’impennata esponenziale dei prezzi verificatasi nell’ultimo anno. Un leggero aumento della domanda mondiale è riscontrabile dai dati, ma non troppo evidente. Sicuramente questo fattore potrà avere un ruolo importante in futuro, ma non oggi o, per lo meno, non evidente dalle statistiche mondiali.
Altri Paesi hanno messo sotto accusa i biocarburanti e gli utilizzi delle materie prime agricole. Brasile e Usa hanno contestato queste accuse. In effetti, il Brasile produce biocarburanti da molti anni e negli Usa l’aumento degli utilizzi energetici sono ancora limitati, anche se in crescita. Anche l’Unione europea è contraria a considerare i biocarburanti il capro espiatorio dell’emergenza cibo (nell’Ue, gli utilizzi delle materie prime agricole per i biocarburanti è inferiore all’1%).
Certamente ci sono una serie di concause che hanno provocato il fenomeno imprevisto ed eclatante dell’aumento dei prezzi e, sicuramente, l’aumento di domanda (alimentare e bio-energetica) sono tra queste. Ma i dati non consentono di giustificare la “bolla”. Mentre troppo poco si è parlato di due fattori:
1) Le conseguenze di trenta anni di prezzi bassi e di politiche distorsive del mercato;
2) La speculazione finanziaria.
I cereali hanno oggi un prezzo dimezzato in termini reali rispetto al 1975 e gli agricoltori, fino a un anno fa, soffrivano di una forte crisi di reddito. Fino a metà del 2007, le politiche agricole e i produttori sono state impostati a scenario di prezzi bassi. Basti pensare che l’Unione europea ha azzerato soltanto nel 2008 la politica del set aside che obbligava gli agricoltori alla “non coltivazione” di una percentuale dei seminativi. Fino al 2007, gli agricoltori avevano programmato le loro produzioni in una prospettiva di prezzi bassi; il 2008 sarà il primo raccolto in cui i produttori agricoli potranno manifestare la loro capacità di risposta all’aumento dei prezzi. E questa capacità potrebbe essere sorprendente; dobbiamo aspettare il mese di luglio-agosto 2008 per avere i primi dati affidabili sul nuovo raccolto, ma le premesse sono incoraggianti.
La migliore risposta all’“emergenza cibo” può venire dalla capacità dei produttori agricoli (piccoli e grandi) di reagire ai segnali di mercato, con un aumento della produzione. È sempre preferibile seguire questa strada, sia nei paesi ricchi che nei paesi poveri, valorizzando l’iniziativa dei singoli e dei corpi intermedi (Ong e comunità locali), soprattutto con la leva dell’istruzione. Bene dice Piatti nel suo intervento su questo sito quando chiede che l’Italia finanzi 1.000 scuole agrarie vicine alla gente e alle comunità locali.
Il rischio da evitare è il protezionismo e l’assistenzialismo. Almeno per questi motivi, alcune conclusioni del vertice della Fao vanno nella giusta direzione.
Aver messo al primo punto lo stimolo agli investimenti in agricoltura, a vantaggio dei piccoli contadini, è l’unica strada. Alle istituzioni finanziarie internazionali viene chiesto di snellire i finanziamenti per l’agricoltura nei PVS. Si invita alla sinergia tra Ong, Governi e Organismi internazionali.
Certamente, il buon esito di questa politica dipenderà dalle modalità di attuazione, ma l’invito ai paesi poveri ad investire di più nella loro agricoltura è la strada giusta, a differenza di quanto era avvenuto nell’ultimo trentennio in cui i Governi dei paesi poveri (per ragioni elettorali) avevano sviluppato politiche prioritariamente per le zone urbane, marginalizzando le zone rurali, con le conseguenze dello spopolamento e della relativa urbanizzazione.
Nella dichiarazione finale del Vertice si afferma la necessità di ridurre al minimo ogni misura restrittiva del commercio, possibile causa dei rincari. Si chiede ai membri del WTO, impegnati nel Doha Round, di adottare misure per agevolare gli scambi nei Paesi poveri.
Pur nei noti limiti della liberalizzazione degli scambi, si è evitato il ricorso ad un anacronistico protezionismo, che era stato paventato da alcuni Paesi.
Si chiede di ridurre le barriere commerciali e le politiche che distorcono i mercati, per agevolare l’accesso dei prodotti dei paesi emergenti. È un invito a una liberalizzazione “guidata”, non una liberalizzazione “indiscriminata”: non si possono ignorare le necessità connesse allo sviluppo e ai bisogni dei paesi più poveri, anche perché lo status quo è il risultato di quasi 50 anni di politiche protezionistiche. Per questo è importante mantenere e sviluppare le preferenze commerciali di cui godono alcuni PVS.
Cuba, Argentina e Venezuela si sono dissociati dalla dichiarazione finale, definendo il testo “demagogico e funzionale solo ai bisogni dei potenti”, in quanto non accenna alle sovvenzioni che l’Occidente concede ai suoi agricoltori e alla speculazione che altera i mercati.
È giusta la sottolineatura sul ruolo devastante della speculazione; basti pensare all’aumento vertiginoso degli investimenti finanziari nelle commodities agricole che si sono verificati nell’ultimo anno, che sono stati la vera causa della bolla dei prezzi. Attualmente gli scambi effettivi di commodities agricole sono inferiori al 5% rispetto agli scambi effettivi. In altre parole, è la finanza che fa il prezzo, non la domanda e l’offerta di prodotto. Ma la migliore risposta alla speculazione, nel lungo periodo, è l’equilibrio della domanda e dell’offerta, soprattutto a livello locale nei paesi poveri.
Del tutto strumentale è l’accusa di Cuba, Argentina e Venezuela alla sovvenzioni all’agricoltura occidentale, soprattutto per quel che riguarda l’Europa. Ormai dal 2005, l’Unione europea ha modificato radicalmente la propria politica agricola, rendendo capace di orientare l’agricoltura al mercato e abbandonando le vecchie politiche protezioniste. L’Ue continua a sostenere la propria agricoltura nella logica dello sviluppo rurale della salvaguardia ambientale, ma questo non influisce negativamente sul mercato, anzi rafforza il potenziale produttivo dell’agricoltura ed evita lo spopolamento delle zone rurali. È proprio la politica che dovrebbero adottare i PVS, invece che mortificare gli agricoltori e le zone rurali con le tasse all’esportazione come ha fatto l’Argentina.
È stato evitato di usare i biocarburanti come capro espiatorio dell’aumento dei prezzi. È stata smentita la tesi di chi attribuisce un’importanza eccessiva alla produzione di biocarburanti; si è gridato allo scandalo per l’utilizzo di prodotti agricoli a fini energetici. I biocarburanti erano diventati il capro espiatorio e i media hanno organizzato una feroce campagna contro di essi.
Le conclusioni del Vertice parlano di “uso responsabile e sostenibile dei biocarburanti”, nel senso che essi rappresentano una giusta prospettiva di politica energetica e ambientale, ma vanno sviluppati in modo graduale e compatibile con i fabbisogni alimentari.
In sintesi, occorre puntare su politiche agricole più efficaci e virtuose per mantenere e sviluppare il potenziale agricolo mondiale, allo scopo di garantire l’approvvigionamento adeguato per tutta la popolazione mondiale. Una politica di sostegno al ruolo insostituibile dell’agricoltura per lo sviluppo delle zone rurali, una politica di stimolo al capitale umano delle comunità locali, una politica per la diffusione di tecnologie che permettono la competitività dei sistemi agricoli, accompagnata da una gestione di stock strategici per affrontare le situazioni di crisi dei mercati. Anche su quest’ultimo punto le conclusioni del vertice affermano la necessità di creare di “scorte alimentari adeguate”.
Il rischio era che il vertice si concludesse solamente con un impegno ad aumentare le risorse finanziarie per la Fao: il solito assistenzialismo per affrontare (forse!) qualche l’emergenza di breve periodo, senza una strategia con effetti strutturali. E fra qualche anno si sarebbe tornati a piangere che il problema della fame nel mondo è ancora irrisolto. Invece la “ricetta” politica del Vertice mostra alcune direzioni positive, il cui esito dipenderà dalla capacità di metterle in atto.