La crisi finanziaria in corso, già molto preoccupante per il ruolo che ormai la finanza gioca nella moderna economia, sta assumendo aspetti sempre più gravi, con la minaccia di un periodo di stagnazione per le economie più sviluppate e che potrebbe estendersi al di là di queste. La crisi, come è noto, ha avuto origine negli Stati Uniti, con la bolla dei cosiddetti mutui subprime e si è poi estesa ad altri Paesi, via via che sempre più numerosi istituti finanziari venivano colpiti da gravi perdite conseguenti a mutui, derivati, cartolarizzazioni e altre operazioni di finanza innovativa.
Anche i non addetti ai lavori hanno dovuto imparare a conoscere termini astrusi e incomprensibili, ma parte di una crisi che tocca direttamente la loro situazione economica. La maggior parte di questi strumenti, come spesso accade, è nata con la migliore delle intenzioni, ad esempio, per coprire i rischi delle variazioni nelle condizioni di mercato, o, altro intento di tipo assicurativo, per frazionare il rischio.
Come si è creato, quindi, il drammatico problema cui il mondo si trova ora di fronte? Anche se i protagonisti sono guru della finanza, grandi banche, famose istituzioni finanziarie e paludati organi statali, la radice si ritrova in alcuni termini normalissimi: superficialità, avidità, furbizia e pochi scrupoli. Prima ancora che etico, aspetto senza dubbio esistente, il problema è professionale.
Non è professionale, infatti, che una banca conceda mutui per somme superiori alle garanzie prestate, e senza verificarle o verificandole superficialmente. Né lo è che agenzie di rating diano valutazioni elevate a prodotti “sintetici”, cioè composti di vari elementi diversi e spezzettati (non a caso alcuni sono stati chiamati ”salsicce”) senza valutarne a fondo il contenuto, ma fidandosi del “buon nome “ dell’emittente.
Non è professionale, ma solo sintomo di avidità e spinta a profitti facili e a breve, utilizzare leve elevate, cioè moltiplicare per 7,8,10 volte il valore delle attività reali sottostanti ai prodotti finanziari derivati, aumentando così enormemente, e non diminuendo , il rischio delle operazioni. Ed è furbizia l’esaltazione di tutto questo come le nuove frontiere dell’economia da cui non si sarebbe più tornati indietro pena il ritorno ai secoli bui. La cosa ha funzionato, visto che questa cattiva finanza innovativa ha illuso molti (imprese e amministratori locali inclusi) e si è sconfinato nella mancanza di scrupoli quando si sono distribuiti questi “prodotti” al dettaglio, cioè a risparmiatori non in grado di valutarne neppure da lontano la rischiosità, valutazione difficile o impossibile per gli stessi addetti ai lavori. Né si può tacere dell’insipienza, quanto meno, degli organi preposto al controllo, là dove non vi siano addirittura responsabilità più dirette derivanti da politiche monetarie e di bilancio sbagliate.
Tra le conseguenze negative di questa situazione vi è anche il rischio di una caduta di fiducia nei confronti di istituzioni irrinunciabili per i sistemi economici moderni. Una crisi di fiducia reciproca è già in atto tra le banche, ulteriore paradosso di una stretta creditizia derivante da una tempesta finanziaria originata da troppa liquidità. Inoltre, si rischia di buttare via strumenti finanziari validi, solo perché qualcuno, o meglio molti, ne hanno malamente abusato.
L’intervista a  Rocco Corigliano, Professore di Economia degli intermediari finanziari, Università di Bologna, spiega in modo compiuto, e qui sì professionale, i passaggi  e i variegati aspetti di questa complessa storia, delineando anche gli interventi che a livello legislativo dovrebbero permettere di, se non evitare, almeno di controllare meglio questi pericolosi, ma pur necessari, strumenti finanziari.



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