Massimo Ferlini, cosa ne pensa del provvedimento, ancora in fase di definizione, voluto da Tremonti che istituisce la card alimentare, a sostegno dei più indigenti?
Se la questione della tessera è solo legata al fatto di poter usufruire di 400 euro l’anno, allora mi lascia un po’ perplesso. Credo che il provvedimento vada valutato alla fine. Una tessera su cui caricare un sussidio ha un costo di emissione tale che se fosse un provvedimento “one shot”, una volta, non avrebbe nemmeno senso. Sarebbe meglio caricare i 400 euro sulla pensione o mandarli direttamente “cash” a chi ne avrà diritto. Se la tessera è identificativa di una soglia di povertà, vi sono casi internazionali in cui ha avuto molte controindicazioni effettive. Proprio chi sta sulla soglia della povertà è chi fa meno ricorso alla tessera, perchè questa sarebbe un marchio che contraddistingue la sua inferiorità sociale. Accentuerebbe la marginalità e accrescerebbe i problemi nell’utilizzo. Va detto che esempi positivi ci sono: la tessera per gli ultrasessantenni viene utilizzata perchè comporta una serie di sconti, di offerte per vari tipi di servizi: treni, musei, e tanto altro. Moltiplica le opportunità a disposizione di queste persone e quindi la qualifica come qualcosa di positivo e da usare anche se questo rivela il dato anagrafico di essere ultrasessantenni.
Su ilsussidiario.net Raffaello Vignali richiamava l’attenzione sul fatto che questa tessera dovrebbe consentire alle persone destinatarie di ottenere tariffe sociali agevolate per utenze essenziali, come acqua luce e gas.
Se la card si ispirasse ad altri tipi di tessera come quelli di cui ho parlato, allora moltiplicherebbe le opportunità dei destinatari. Anche monetarie, ma soprattutto in fatto di sconti e di accessi a servizi che i destinatari non potrebbero permettersi. Sarebbe l’unico modo per fare della card una cosa positiva. Un’opportunità da sondare è se una serie di questi servizi non possano essere offerti da realtà già esistenti sul territorio. Perchè l’applicazione del principio di sussidiarietà, di cui il ministro Tremonti, avendo fatto il 5 per mille, è persona esperta, comporta il fatto di chiedersi se lo stesso risultato possa essere ottenuto perchè qualche altro soggetto può intervenire al posto dello Stato. Tali soggetti avrebbero un grande vantaggio: essendo sul territorio, vicino al bisogno, potrebbero farsi carico del bisogno nella sua complessità e non semplicemente per un automatismo amministrativo-burocratico. La tessera potrebbe funzionare attraverso il legame con altre realtà come il Banco Alimentare, o altre strutture che si fanno carico dei bisogni delle persone perché le conoscono e lavorano a stretto contatto con esse. In questo modo un provvedimento come la card alimentare dimostrerebbe in modo più adeguato un’attenzione politica ai nuovi bisogni esistenti.
Il professor Campiglio, nel suo intervento su ilsussidiario.net, ha posto l’attenzione sui destinatari del provvedimento. I pensionati – che potrebbero essere i principali destinatari – non sono i soli ad avere problemi di natura economica: basti pensare alle famiglie numerose. Gli stessi food stamp americani hanno una taratura che è calibrata sulla famiglia. Lei cosa pensa di questo?
Il richiamo che il professor Campiglio fa, di progettare politiche commisurate ai bisogni della famiglia si collega a ciò che si diceva del principio di sussidiarietà. Abbracciare dei bisogni non significa tracciare linee precise entro cui inquadrare la realtà con le sue tipologie: in questo modo si genera un enorme apparato burocratico e si perdono di vista i bisogni. Il quoziente familiare può essere uno degli strumenti primi per cercare di abbracciare i bisogni nella loro complessità. Se poi per fare questo si riuscisse far leva su realtà territoriali esistenti, avremmo anche dei “sensori” intelligenti in grado di rispondere realmente ai bisogni delle persone.