Onorevole Lanzillotta, cosa ne pensa della riforma dei Servizi pubblici locali uscita dal vaglio della Commissione Bilancio e finanze della Camera e destinata a far parte del maxiemendamento della manovra?

Penso che non si tratti affatto di una riforma. Il governo ha inserito nella legge di conversione del decreto un testo che peggiora la situazione attuale, perché riapre tutti gli affidamenti diretti a società di ogni tipo: miste, private e pubbliche, senza nessun vincolo cogente da parte dell’Antitrust, che viene sì interpellato ma non ha nessun potere di verificare se ci siano in realtà le condizioni di mercato. C’è poi un ingiustificato trattamento di favore per le società quotate, alle quali non viene imposto il divieto di extramoenia. Anche in caso di affidamenti diretti, esse possono quindi partecipare a gare al di fuori del proprio territorio, ma questo comporta due gravi conseguenze.



Quali?

La prima di mantenere gli affidamenti diretti in carico, con effetti negativi per tariffe e utenti e con l’effetto di produrre asimmetrie competitive. La seconda conseguenza è che vengono ignorati due aspetti: il primo è la disciplina dei conflitti di interesse, e quindi la separazione del ruolo di regolatore rispetto a quello di azionista, e l’altro è che viene totalmente ignorata la parte relativa alla tutela dei consumatori, che nella nostra proposta veniva resa cogente e infine, collegata alla tutela dei consumatori, la parte relativa alla trasparenza nella gestione da parte dei concessionari.



In buona sostanza la sua obiezione alla deroga all’affidamento mediante gara e, di fatto, alla reintroduzione dell’affidamento in-house è che si ritorna al passato.

Esatto. È un ritorno alle municipalizzate, un allargamento di quel socialismo municipale che abbiamo tanto criticato e che la maggioranza diceva di voler contrastare in nome di principi liberali, ma al quale di fatto ha spalancato la porta.

Le ultime legislature hanno visto continui tentativi di riforma dei servizi pubblici locali. Nella XIV legislatura, il cosiddetto lodo Buttiglione ha riaperto la porta agli affidamenti in-house; nell’ultima, il ddl Lanzillotta è stato spogliato progressivamente dei propri contenuti, senza poi essere approvato. Perché è così difficile approvare una riforma dei servizi pubblici locali?



Il perché è molto semplice:una resistenza trasversale dei partiti che non vogliono mollare la presa sul potere locale rappresentato dalle società controllate dai comuni e dagli altri enti locali.

Ne sono un esempio i limiti imposti dalla Lega per consentire l’affidamento senza gara?

Certo. In questo caso un emendamento della Lega ha ulteriormente svuotato un testo che, come ho detto, a mio avviso era e rimane insoddisfacente. E nessun componente della maggioranza ha contrastato questa linea della Lega. I liberali di Fi hanno taciuto e incassano oggi una sconfitta fragorosa. Il compromesso mancato sulla mia proposta – ai tempi del governo Prodi – aveva dei limiti ma era dignitoso, perché – salva la questione dell’acqua – tutto il resto era molto più avanzato: il principio delle gare era ribadito, c’erano vincoli molto stringenti per la deroga al principio della gara, e c’era un più forte tutela dei consumatori. La mia riforma andava nell’interesse delle imprese e degli utenti, determinando un rapporto più conveniente tra qualità e prezzo, tariffe e imposte locali più basse, ma toglieva un grande strumento di potere perché attraverso queste società si può interagire con una serie di interessi diffusi sul territorio, come assunzioni e appalti, senza che emerga alcuna inefficienza della gestione, perché l’efficienza la determina il mercato. Ma An ha addirittura accusato le mie vecchie posizioni di “fondamentalismo mercatista”.

Pensa che anche il nostro paese possa – a fianco delle soluzioni gestionali tradizionali – sperimentare il conferimento di reti e impianti a Fondazioni patrimoniali non profit, ricorrendo alla gara per quanto riguarda l’affidamento della gestione?

Sì. Il mio ddl superava il concetto di proprietà pubblica al 100% delle reti e prevedeva la possibilità di privatizzare, mantenendo il controllo pubblico e facendo la gara per la gestione. Con il coinvolgimento anche delle fondazioni, in una logica di trasparenza. In una fase in cui avremmo bisogno di grandi investimenti per sviluppare le reti, la cosa migliore da fare sarebbe depatrimonializzare, cedere quote di questo patrimonio per reinvestire nelle reti. Affidando il controllo a soggetti portatori di interessi collettivi – enti pubblici o fondazioni non profit.

Quali sono le sue previsioni?

Se il maxiemendamento dovesse mantenere il testo attuale ed essere approvato così com’è, la riforma di cui il Paese ha bisogno aspetterà ancora per molti anni. Avremo una riforma mancata e sarebbe grave per il paese: tutte le assemblee imprenditoriali, Confartigianato, Confcooperative, Confindustria, hanno chiesto di liberalizzate questo mercato. Sicuramente una priorità è mettere in sicurezza il bilancio pubblico, e su questo Tremonti ha ragione, ma è una priorità anche la crescita. E rinunciare a questa riforma è rinunciare a dare una forte spinta alla crescita.

(Foto: Imagoeconomica)