Servizio idrico, raccolta e smaltimento dei rifiuti, distribuzione dell’energia elettrica, trasporto pubblico locale, distribuzione del gas: con l’articolo 23 bis del Decreto legge 112/2008 in votazione alla Camera dei deputati, il governo propone una nuova riforma dei servizi pubblici locali (SPL). Il provvedimento si concentra su un aspetto centrale dell’intera organizzazione del settore, l’affidamento, ovvero la modalità con cui gli Enti locali individuano il soggetto che avrà il compito di erogare il servizio. Prima di avanzare una valutazione, necessariamente preliminare nell’attesa dei lavori dell’assemblea, è utile capire quali cambiamenti comporterebbe l’approvazione di questa versione della norma.
Come sono organizzati oggi i SPL e cosa cambierebbe con l’Articolo 23 bis?
Per molti decenni nelle città italiane era prevalso l’affidamento ad enti pubblici e ad imprese di proprietà del Comune. Tuttavia, a partire dagli anni Novanta è emersa l’insoddisfazione per molti casi di gestione con modesta qualità del servizio o con costi elevati (coperti da sussidi pubblici o da tariffe degli utenti). Si è così rafforzata l’idea che il Comune e gli altri enti locali avrebbero dovuto impegnarsi, piuttosto che nella gestione diretta del servizio, nell’organizzare la “liberalizzazione” dei SPL, selezionando tramite confronto competitivo il gestore maggiormente capace di offrire servizi di qualità in maniera efficiente (“gara”). Tale gestore avrebbe quindi avuto il monopolio temporaneo del servizio nella città fino al rinnovo della gara, sotto il controllo dell’ente locale e secondo obblighi inseriti in un contratto di servizio.
Questa visione, abbracciata a parole da molti, a livello nazionale non ha mai trovato decisa attuazione. A partire dal Testo unico sugli enti locali del 2000, dalla Finanziaria del 2002 e poi dalla Finanziaria del 2004, l’ente locale infatti può affidare il servizio tramite gara, selezionando anche soggetti privati, ma può anche continuare ad affidare il servizio ad un’impresa su cui esercita il controllo (gestione in-house) o a un’impresa mista (socio di minoranza privato scelto con gara; affidamento diretto). Grazie ad un sistema di proroghe e di controversie, favorite dalla sovrapposizione talvolta conflittuale con le leggi di settore per i singoli servizi, nel frattempo sopravviveva la maggior parte delle storiche gestioni in-house.
E’ in questo scenario che si pone l’articolo 23 bis del decreto 112/2008. Esso ripropone molti elementi dell’ultima versione del disegno di legge Lanzillotta, prodotto dall’ultima legislatura e mai approvato per l’opposizione di esponenti di diversi partiti. Il disegno di legge Lanzillotta in realtà in una prima versione rendeva obbligatoria la gara senza eccezioni, ma ha subito due successive modifiche: l’esclusione dalla gara del servizio idrico (“contro la privatizzazione dell’acqua!”) e la riammissione degli affidamenti in-house, purché motivati da caratteri strutturali del territorio che impedissero la gara e dopo una verifica da parte dei regolatori di settore o dell’Antitrust. Due differenze: l’articolo 23 bis non chiede la verifica della gestione in-house da parte delle autorità indipendenti ma un semplice parere; non esclude dalla possibilità di gara il servizio idrico.
Quale riforma? Il modello lombardo di affidamento dei servizi
Se verrà confermata l’attuale versione, l’articolo 23 bis può essere giudicato come deludente, nonostante il positivo superamento del ricorso generale all’in-house nell’acqua. In termini generali, l’introduzione di deroghe e periodi transitori, tipica dei precedenti provvedimenti, toglie credibilità all’impegno riformista e protrae lo stallo del settore. Più in particolare, la possibilità di una conferma “automatica” per le società pubbliche con l’affidamento in-house non rappresenta certo un passo in avanti nella libertà di scelta e nel tentativo di servire gli utenti, cittadini ed imprese, con servizi di alta qualità e con una buona efficienza gestionale. Su questo aspetto vale la pena fare tre brevi riflessioni.
Primo, che sia possibile fare meglio di così lo mostrano le regioni che hanno utilizzato l’attribuzione di competenze sugli SPL per promuovere leggi maggiormente liberalizzatici. Un esempio notevole da questo punto di vista è la legge regionale 26 del 2003 (con successive modifiche) della Regione Lombardia che rende obbligatoria la gara per l’erogazione del servizio, anche quello idrico.
Secondo, occorre ora riconoscere un oggettivo punto di difficoltà nella gara. Infatti, la durata degli affidamenti non può superare un numero limitato di anni, pena la trasformazione di un monopolio temporaneo e soggetto alla verifica di frequenti competizioni in un monopolio tout court. Tuttavia la breve durata disincentiverebbe il soggetto affidatario dal sostenere gli investimenti tanto necessari per la qualità e l’ammodernamento dei servizi, nel timore di dover riconsegnare ad un possibile nuovo vincitore reti ed impianti senza ricavare l’intero valore residuo. Anche il problema del sottoinvestimento è stato ben affrontato proprio dalla citata legge lombarda con la possibilità di separare la gestione degli investimenti nelle reti e negli impianti dalle attività “correnti” di erogazione del servizio e di concentrare – se necessario – la gara solo su tali attività
Terzo, dopo avere ribadito che l’affidamento in-house senza verifiche indebolisce le possibilità di offrire un buon servizio a consumatori e clienti industriali, occorre dire che la gara è uno strumento e non è il fine della liberalizzazione e peraltro è uno strumento che richiede per la propria efficacia delle misure di accompagnamento. Ad esempio, nel servizio idrico di Inghilterra e Galles, la concessione viene affidata direttamente a un’impresa privata, senza gara formale, ma il regolatore continuamente svolge esercizi di valutazione e comparazione tra i diversi gestori locali e, in caso di ripetute inadempienze, è credibile che la concessione venga revocata.
Occorrono controlli sul livello di servizio successivi all’affidamento e valutazioni indipendenti dell’efficacia e dell’efficienza del servizio. Con verifiche di questo tipo, la scelta del gestore è reale, il mantenimento e l’eventuale rinnovo dell’affidamento diventano veramente competitivi e i gestori sono stimolati a dare il meglio.
Quale riforma? Le Fondazioni patrimoniali non-profit
Se la scelta del gestore è una faccia della liberalizzazione, l’altra faccia è la libertà di iniziativa nell’offerta del servizio.
L’articolo 23 bis giustamente riafferma la proprietà e la destinazione pubblica delle reti e degli impianti, ma perché il mantenimento e lo sviluppo di tale patrimonio dovrebbero essere assicurati soprattutto e solo da società di capitale a controllo pubblico? Un netto miglioramento del provvedimento all’esame della Camera sarebbe la sperimentazione anche in Italia di ciò che è già esperienza consolidata e positiva in altri paesi. Esempi sono le non-profit utilities di origine privata in Gran Bretagna o di origine municipale negli Stati Uniti, assai diffuse nei servizi idrici e nel trasporto pubblico locale. Tali soggetti si caratterizzano per una visione di lungo termine, per una propensione agli investimenti e per forme moderne di gestione e di rapporto sia con i responsabili politici sia con i mercati finanziari.
In particolare, lo strumento potrebbe essere quello di una Fondazione patrimoniale a cui gli Enti locali conferiscono la proprietà e la gestioni delle reti, con funzioni simili a quelle previste per le società di capitale a controllo pubblico. Tale possibilità si concilia benissimo con la gara per l’erogazione del servizio, ai fini di una gestione operativa efficiente. La Fondazione si caratterizza per la presenza dei rappresentanti dei cittadini, degli utenti industriali e delle associazioni locali nella gestione strategica, rivitalizzando così la tradizione oramai impoverita dei servizi alle città tipica delle prime municipalizzate. Rispetto ai gestori privati e anche alle società di capitale a controllo pubblico, il reddito della gestione viene re-investito interamente nello sviluppo delle reti e degli impianti. Viene infine assicurata una migliore schermatura da influenze politiche non finalizzate al miglioramento del servizio.
La liberalizzazione dei servizi pubblici locali può trovare piena attuazione anche rimuovendo un vincolo che non ha ragione di essere e che altri paesi non hanno. Proprio nei paesi con maggiore tradizione di ricorso al mercato si ammette la presenza di soggetti non-profit non solo nei servizi di tipo welfare ma anche nei servizi pubblici di natura economica.