Dovrebbe essere presentato ufficialmente entro il 10 agosto (salvo proroghe), ma le indiscrezioni di stampa sul “Piano Fenice” sono ormai note. Il lavoro di Intesa-San Paolo potrebbe portare a compimento un processo di privatizzazione iniziato da quasi due anni, nel corso dei quali si sono visti diversi milioni di euro pubblici confluire nelle casse di Alitalia, mentre il prezzo del petrolio è più che raddoppiato. Il rischio del fallimento è sempre più vicino, e secondo Oliviero Baccelli, Docente di Economia dei trasporti e Vicedirettore del Certet (Cento di Economia Regionale, dei trasporti e del turismo) dell’Università Bocconi, il termine ultimo per evitarlo è novembre, «il mese storicamente più critico per le compagnie aeree, in cui si verifica un drastico calo dei passeggeri. Quest’anno poi sarà ancora più difficile avere accesso al credito, dato il costo crescente del denaro».
 



Questo accadrà naturalmente se non verrà presa alcuna iniziativa. A questo proposito qual è il suo giudizio sul “Piano Fenice”?

Posto che si tratta solo di indiscrezioni di stampa, credo che emerga una volontà drastica di ridurre il perimetro e le ambizioni di Alitalia.
Sono 19 mesi che si sta parlando di privatizzare la compagnia di bandiera: se l’obiettivo finale è la creazione di una “mini Alitalia”, con la separazione tra good e bad company, credo che abbiamo sbagliato a pensare che la privatizzazione potesse portare a un rilancio di Alitalia.
Il Piano di Intesa-San Paolo pecca di scarsa ambizione, non è in linea con gli obiettivi politici di cui si va parlando da quasi due anni.
 



Questa scarsa ambizione è dovuta al contesto “difficile” del mercato del trasporto aereo o ritiene che si potesse fare di più a livello strategico?

È chiaro che il quadro è andato estremamente a complicarsi nel corso degli ultimi anni, ancor più negli ultimi mesi. Tuttavia, le soluzioni adottate da altre compagnie per uscire dalla crisi hanno previsto sì una fase di riduzione, ma con una serie di obiettivi strategici ben chiari.
Se l’obiettivo di Intesa-San Paolo è di avere solamente un leader nel mercato domestico, sappia che metterà Alitalia nelle condizioni di non riuscire a sopravvivere negli anni successivi.
 



Come mai?

Perché il mercato domestico è particolarmente difficile da servire: è estremamente stagionale, estremamente capillare, è il regno delle low cost (Ryanair ed Easyjet operano già bene e hanno grandi progetti di espansione). Si va incontro a una concorrenza agguerrita.
 

Alitalia non potrebbe risolvere questo problema specializzandosi nelle tratte business?

Le direttrici business dovrebbero diventare il cuore delle attività di Alitalia, ma saranno fortemente impattate dall’Alta velocità ferroviaria, che comincerà ad ampliare la sua attività proprio questo inverno.
Diventerà difficile per la nuova Alitalia sostenere questo tipo di business nel medio periodo, diciamo dopo il 2010-2011.
 

Sta dicendo che si rischierebbe nuovamente il fallimento nell’arco di due o tre anni?

Sì, è un’eventualità che potrebbe concretizzarsi, come dicevo, intorno al 2010-2011, quando lo sviluppo dell’Alta velocità sarà in stato molto avanzato.
 

Può spiegarci perché l’Alta velocità è così pericolosa per Alitalia?

Tutti gli studi sull’impatto dell’Alta velocità sul trasporto aereo che sono stati fatti in Francia, Spagna e Germania, mettono in evidenza come l’impatto possa essere importante. Ritengo, inoltre, che il mercato italiano abbia delle peculiarità tali da rendere questo impatto ancor più elevato rispetto a quello che si è verificato negli altri paesi europei.
 

Quali sono queste peculiarità?

Innanzitutto l’Alta velocità arriva più tardi rispetto al resto d’Europa, e arriva tecnologicamente più avanzata. Tutte le stazioni saranno poi ben interconnesse con la rete di trasporti ferroviari regionali e con le linee metropolitane. Queste nuovi stazioni, oltre ad essere accessibili e raggiungibili a costi minimi (anche il semplice biglietto della metropolitana) avranno soluzioni architettoniche di pregio, saranno posti piacevoli dove andare.
Non dimentichiamo poi che sulla rete ferroviaria ad Alta velocità opererà un’azienda privata in concorrenza con quella pubblica (si tratta dell’unico caso in Europa). Di conseguenza, la concorrenza non sarà solo tra trasporto aereo e trasporto ferroviario, ma anche tra i diversi vettori di queste due tipologie di trasporto.
 

Che conseguenze avrà questo tipo di concorrenza?

Potrà generare problemi importanti per il trasporto aereo: un treno può ospitare 750 passeggeri, l’equivalente di circa 5 aerei. Una cifra rilevante, anche per quel che riguarda la possibilità di differenziare i prezzi dei biglietti. Appena le compagnie ferroviarie saranno in grado di farlo, porteranno via moltissimo traffico al trasporto aereo, considerando anche il fatto che nel nostro Paese il treno è percepito come mezzo di trasporto economico rispetto all’aereo.
 

Lei accennava prima alle strategie di successo messe in atto da altre compagnie aeree. Può farci un esempio?

British Airways ha messo in atto una strategia mirata a coprire il mercato di alta fascia e lungo raggio. Ha semplificato tutto il resto, eliminando pian piano tutte le attività relative ai voli regionali o di medio raggio. Ha creato poi servizi specifici rispetto alla sua strategia, come ad esempio OpenSkies.
Certamente per Alitalia è difficile replicare una simile strategia, ma questa mette in evidenza quanto sia redditizio puntare sul lungo raggio e sulla clientela business.
 

Alitalia non poterebbe cercare un’alleanza strategica con una compagnia europea, in modo da ampliare i suoi orizzonti oltre il mercato interno?

In un recente studio del Certet abbiamo indicato una road map per il rilancio di Alitalia: dopo una necessaria riduzione costi, anche attraverso un miglior utilizzo degli aeromobili (cosa che con AirOne potrebbe fare), si può incominciare a incrementare il load factor. Il passo successivo è affacciarsi ai mercati internazionali, tenendo conto che Ryanair è già leader del mercato intra-Ue. Bisognerà cercare quindi nicchie specifiche a livello intercontinentale, che andranno coperte con accordi internazionali specifici. Sarà necessario perciò in alcuni casi rivedere gli accordi bilaterali, che in alcuni casi (come ad esempio Russia e India) non sono ancora possibili.
È necessaria poi una riorganizzazione del traffico sul sistema aeroportuale milanese.
 

A questo proposito la Sea si sta già impegnando per andare avanti senza la compagnia di bandiera, ma la nuova Alitalia potrà fare a meno di Malpensa?

La compagnia che nascerà dalla somma di Alitalia e AirOne dovrebbe assolutamente coprire anche Malpensa. Del resto la rapidità con cui la Sea sta già ipotizzando la sostituzione di Alitalia con altre compagnie mette in evidenza come il mercato nel Nord Italia sia rilevante.
Da questo punto di vista, possiamo dire che per Alitalia è stato un errore importante quello di lasciare Malpensa.
Inoltre, un piano di sviluppo e rilancio di Alitalia che preveda partnership internazionali è possibile solo con un suo ritorno a Malpensa, un aeroporto geograficamente ben collocato sulle rotte intercontinentali, e vicino al mercato più ricco, più stabile e in grado di poter offrire quella domanda business e cargo necessaria per far viaggiare l’intercontinentale in modo redditizio.

(Foto: Imagoeconomica)