La Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha approvato il 13 luglio scorso il testo (articolo 23-bis – AC 1386) contenente la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Si tratta dell’ennesimo tentativo di riforma dei servizi pubblici locali che si succede nel corso degli ultimi anni.

Solitamente quando si discute e si affronta il tema della riforma dei spl ci si sofferma principalmente sui due seguenti aspetti:



1. la modalità di affidamento dei servizi, distinguendo il ricorso all’affidamento in house da quello basato sull’espletamento delle gare, opzione questa maggiormente gradita al diritto comunitario;

2. la configurazione giuridica delle società che gestiscono i servizi.

Per entrambi i punti sopra descritti, il dibattito fa emergere due “fazioni” contrapposte: da un lato, quanti invocano il mercato a sostenere e difendere le “gare” e, conseguentemente, le società quale formula privilegiata. Dall’altro, gli enti locali e le società/aziende affidatarie del servizio a difesa dello status quo, ossia del “monopolio” degli enti pubblici nell’erogazione dei servizi di pubblica utilità.



Osservando l’esperienza a livello locale, tra le “squadre” così schierate si può scorgere un’area “grigia” in cui vi è ancora spazio per sperimentazioni e innovazioni fondate su un corretto principio di sussidiarietà “aziendale” e sulla ripartizione di funzioni e competenze. E ciò può avvenire se il focus o meglio la chiave di lettura della riforma (o dovremo dire dei tentativi di riforma fino ad oggi portati avanti) diviene il cittadino-utente, la cui domanda di poter accedere a servizi universali, efficaci ed efficienti risulta essere oggi – in un momento di negativa congiuntura economica – vieppiù marcata.



La dimensione, dunque, non è quella della contrapposizione tra due “concezioni del mondo”, ma quella della verifica pragmatica (o delle buone prassi) delle possibili forme di partnership pubblico-private ovvero di sussidiarietà applicata, rifiutando l’assunto secondo il quale privatizzazione è bene e proprietà pubblica (in particolare maggioritaria) sia male.

In questo senso, allora, il testo uscito dalla Commissione Bilancio offre qualche spunto interessante, laddove si legge – come peraltro era rinvenibile anche nel ddl Lanzillotta sottoposto alle Camere durante la scorsa legislatura – che la modalità ordinaria di affidamento dei servizi (la gara) potrà essere derogata per situazioni in cui l’evidenza pubblica non risulti possibile. La disposizione merita particolare attenzione in quanto interviene a riconoscere, per particolari situazioni economiche, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, la possibilità in capo agli enti locali di fare ricorso a “proprie” società ovvero partecipate, non prima di aver svolto un’analisi di mercato e averne data adeguata pubblicità. Sotto il profilo sistemico preme evidenziare che una simile previsione non deve essere sottovalutata, poiché permette di realizzare, laddove non sia possibile intraprendere la gara, il servizio a favore dell’utenza che – si presume – facendo seguito ad un’analisi del mercato e del territorio/ambito di riferimento, consente all’ente locale (spesso il comune/i comuni) di individuare la soluzione più congrua. Tra le soluzioni si ribadisce la costituzione di società miste, in cui il socio privato sia scelto mediante gara. Si tratta di una reale possibilità di fissare non soltanto i “paletti” economici sulla base dei quali esperire la gara, ma soprattutto di individuare il progetto che si intende realizzare con il soggetto privato. Tutto ciò a patto che questa “eccezione” non diventi la regola.

Questa possibilità deve essere letta in uno con la previsione secondo la quale gli enti locali e le Regioni possono definire i bacini di gara per i diversi servizi, così da realizzare economie di scala e di scopo, nonché di perseguire l’integrazione di servizi. Una prima lettura di tale norma sembrerebbe deporre a favore delle aggregazioni sul territorio, della capacità del settore privato e laddove possibile anche non profit di “fare rete” per partecipare alle gare per la gestione del servizio. È quanto contenuto nella riforma istituzionale approvata dalla Provincia Autonoma di Trento con l.p. n. 3 del 2006.

E questo “principio” sembra confermato da un’altra disposizione contenuta nell’articolo 23 bis approvato dalla Commissione Bilancio, laddove si può leggere che il Governo dovrà emanare uno o più decreti al fine di “limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime di esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale”. Sembra questo un “manifesto” di intenti che, ancorché affidato ad uno strumento normativo “secondario”, se implementato adeguatamente potrebbe invero arrecare molti benefici al sistema dei servizi pubblici locali, da troppo tempo soffocati in diatribe e polemiche il cui epilogo è spesso caratterizzato dalla “vittoria” del più forte, sia esso privato ovvero pubblico. Al contrario, il settore – ricordiamolo, che insieme a quello sociale e sanitario, più di altri è indice di un Paese moderno e solidale – necessita di un approccio capace di riconoscere quanti sul territorio sono in grado di operare e di rimettere in moto le eccellenze di programmazione, progettazione, supervisione e finanche intervento sussidiario, di cui le municipalità in Italia hanno saputo fornire buoni esempi nel passato e, in molti casi, ancora sanno dare.

Da ultimo vorrei sottolineare che il testo approvato dalla Commissione Bilancio, discostandosi da una precedente versione e recuperando invece una disposizione del ddl Lanzillotta, stabilisce che i servizi pubblici locali possono essere conferiti a “imprenditori o società in qualunque forma costituite”. Si tratta dunque di un ulteriore spazio di azione per valutare e verificare la potenzialità di organizzazioni non profit ed imprese sociali a farsi carico dei servizi di interesse generale, così come peraltro avviene già in altri Paesi: una sfida certo foriera di scenari inediti per il nostro ordinamento. 

(Foto: Imagoeconomica)