Il settore delle utilities in Italia non è in grande forma: Alitalia vola verso il baratro, Trenitalia viaggia con perdite di centinaia di milioni di Euro e Tirrenia naviga grazie ai sussidi. Un particolare settore nel quale tentativi di riforma sono stati frequenti negli ultimi anni è quello dei servizi pubblici locali. Essi comprendono diversi servizi forniti a livello locale quali la fornitura del gas e dell’energia elettrica, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, i servizi idrici e il trasporto pubblico locale. L’insieme di questi servizi generano un fatturato stimabile intorno ai 35 miliardi di euro nel 2007.



Nel settore le inefficienze sono ingenti, in quanto è nell’interesse degli enti locali mantenere un controllo economico e politico di questi servizi piuttosto che orientarli all’efficienza Un esempio chiaro è quello del trasporto pubblico locale che in Italia costa circa 2 volte quello inglese, dove esiste una deregolamentazione, ma anche il 60% in più rispetto alla Svezia, dove è presente una forte liberalizzazione.

Il tema della liberalizzazione dei servizi pubblici locali è tornato prepotentemente alla ribalta nelle ultime settimane grazie al decreto legge n°112/2008 che prevede una riforma del settore. L’apertura del mercato in questo settore economico è sempre risultato essere molto difficile, come dimostra l’esperienza della Riforma Lanzillotta nella scorsa legislatura. Il disegno di legge, presentato nel Luglio del 2006 dall’esponente del Partito Democratico, era il minimo sindacale per una riforma del settore, come ha detto l’economista Luigi Ceffalo, restando tuttavia un passo in avanti. Il disegno di legge venne snaturato dall’opposizione interna al Governo Prodi portata avanti da Rifondazione Comunista e la riforma non venne mai alla luce.



Il nuovo Governo, pur avendo una maggioranza molto ampia, ha trovato delle resistenze interne ad una riforma dei servizi pubblici locali; il sub-emendamento presentato dall’On. Fugatti, che di fatto prevedeva un’assegnazione del servizio senza gara, ne è la prova.
L’ultima versione, approvata lo scorso 21 Luglio, prevede invece un conferimento della gestione tramite procedure competitive ad evidenza pubblica, lasciando tuttavia delle deroghe laddove il mercato non riesca ad essere «utile ed efficace a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento». L’eccezionalità è diventata spesso la normalità e questa deroga potrebbe trasformarsi in un punto debole della liberalizzazione, come giustamente ricordava Alceste Santuari in un articolo su questo quotidiano.

I privati potranno concorrere alle gare ad evidenza pubblica, ma questo non significa che il settore verrà privatizzato. Un problema basilare rimane presente; quasi sempre le gare ad evidenza pubblica si concludono con la vittoria dell’incumbent e questo deriva dal fatto che le istituzioni locali sono i gestori del servizio e contemporaneamente i decisori delle regole. Questo punto non è affrontato e difficilmente la gestione potrà essere più efficiente. Le regole delle gare inoltre, spesso, sono “tarate” sul vincitore con l’inserimento di clausole molto strette sul mantenimento del personale.



Attualmente il 70% dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali comunali avviene in forma diretta. Questa riforma potrà modificare questa percentuale, abbassandola anche significativamente, ma senza regolamenti fortemente a favore della liberalizzazione non ci sarà alcun cambiamento sostanziale in un settore dove le inefficienze pagate dai contribuenti e dai consumatori sono molto elevate.

Questa riforma è solo un primo passo verso la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, ma senza altri passi decisi verso il mercato, rischia di rivelarsi insufficiente.

(Foto:Imagoeconomica)