Appare persino paradossale ritrovarsi per l’ennesima volta nel corso degli ultimi dieci anni a fare i conti con un provvedimento legislativo (in questo caso l’art. 23-bis all’interno del c.d. maxi-emendamento sul quale il governo ha posto la fiducia la scorsa settimana) che interviene sulla materia dei servizi pubblici locali per ridefinirne il sistema di regolazione. Da più di un decennio infatti i servizi locali relativi all’erogazione del gas, dell’energia, dell’acqua e del trasporto sono soggetti a provvedimenti di riforma dei rispettivi sistemi (struttura proprietaria, assetti societari e organizzativi, modalità di affidamento dei servizi, responsabilità decisionale in merito agli investimenti, ecc.) senza che si sia raggiunta una condizione di certezza e stabilità delle regole.
In questo, come purtroppo anche in altri casi, verrebbe da chiedere al legislatore di chiarirsi in modo definitivo a quali principi intende ispirare il proprio intervento e solo successivamente strutturarlo in un provvedimento di legge sul quale concentrare gli sforzi per una sua effettiva attuazione. Cosa che a oggi per i servizi di pubblica utilità non è oggettivamente avvenuto.
Nel merito a mio parere anche questo provvedimento non risolve in modo definitivo l’equivoco di fondo che ha condizionato fin qui ogni tentativo di riforma. Sulla materia infatti da anni si confrontano in Parlamento due schieramenti totalmente trasversali alle maggioranze politiche del momento. Semplificando: da una parte coloro che propongono la liberalizzazione di questi settori come strumento/obiettivo per garantire ai cittadini una migliore qualità dei servizi (efficienza/efficacia) aprendo in modo deciso a una competizione regolata e prevedendo per gli enti locali sostanzialmente un ruolo di regolatore (e non più di azionista/imprenditore). Dall’altra invece coloro che o in nome di una posizione ideologica, o sostenendo una funzione determinante del “municipalismo”, rivendicano un ruolo attivo degli enti locali nella produzione/erogazione di questi servizi. Personalmente sto in maniera convinta con i primi ma devo dire, purtroppo, che l’art. 23-bis non sembra proporre una chiara scelta di campo. Bene infatti quando richiama alla normativa europea e indica la procedura di gara come modalità prima per l’affidamento dei servizi. Male quando nel riproporre la possibilità dell’affidamento diretto (ovviamente un’opzione più che legittima) ne lascia in fondo indistinti perimetro e profili, rimandando ad una valutazione dell’Antitrust (che ha già dichiarato non avere risorse per compiere le analisi richieste e il cui giudizio avrebbe comunque valore puramente consultivo). Bene quando esplicita che i titolari di affidamento diretto non possono competere al di fuori del loro territorio e prevede che questi servizi concorrano alla determinazione dei parametri del patto di stabilità degli enti locali di pertinenza, male quando considera possibile l’affidamento “multi servizi” (per attività che dal punto di vista industriale hanno proprie specificità e che richiedono di conseguenza anche regolazioni differenziate).