Il prossimo mese d’agosto potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro di Alitalia; entro il 10 agosto, l’advisor Intesa San Paolo dovrà presentare il “Piano Fenice”, mentre l’8 agosto si riunirà il Consiglio d’Amministrazione del vettore per approvare i conti del secondo semestre.
Le perdite operative nel primo trimestre furono di 215 milioni di Euro e c’è il rischio concreto che anche nel secondo trimestre possano superare i 200 milioni di euro. La riduzione dei voli, voluta dal piano Prato, ex amministratore delegato di Alitalia, potrebbe aver ridotto le perdite, ma l’aumento del prezzo del carburante, la diminuzione del load factor e il mancato taglio del personale sono fattori che potrebbero aver ampliato il rosso di Alitalia.
La situazione è sempre più critica e la compagnia senza il prestito ponte, norma anticoncorrenziale, sarebbe già fallita.
La proposta dell’advisor prevede la separazione tra NewCo e BadCo; gli investitori e AirOne prenderebbero il ramo aziendale con tutti gli asset, senza alcuna gara, mentre allo Stato rimarrebbe il ramo aziendale con tutti i debiti, compreso il prestito ponte. La parte aziendale meno efficiente sarà probabilmente liquidata e lo Stato perderà diverse centinaia di milioni di euro.
Agli investitori serve tuttavia una “nuova legge Marzano” affinché i creditori della vecchia Alitalia non si rivalgano sulla Newco, mentre l’azionista di maggioranza della compagnia, il Ministro dell’Economia, ha detto di voler aspettare il “Piano Fenice” per effettuare modifiche legislative. In questo modo si è creata un’impasse che si potrà risolvere solo con un cedimento di una delle due parti.
Sono diverse le domande a cui è necessario rispondere per meglio inquadrare la crisi Alitalia nel panorama del trasporto aereo italiano ed europeo.
La prima riguarda l’accanimento a volere una soluzione italiana; solo in questo modo la politica e i sindacati potrebbero continuare ad avere un’influenza sulla gestione aziendale come lo stesso Carlo Toto disse indirettamente in una conferenza lo scorso febbraio. La compagnia avrebbe il 3,5% della quota di mercato europea e resterebbe un piccolo vettore regionale.
La seconda è relativa agli investitori che hanno investito in Alitalia credendo nei diversi piani industriali presentati negli scorsi anni; sono stati sicuramente ingenui a credere che una gestione pubblica di un’azienda l’avrebbe risanata, ma non è lecito che uno Stato cambi le regole del gioco quando gli è comodo. Regole di mercato stabili sono necessarie agli investimenti diretti esteri e forse non è un caso che l’Italia ne abbia troppi pochi.
Una terza è relativa al piano Air France-Klm e al mercato francese; la fusione con il primo gruppo europeo aveva sicuramente dei punti deboli, ma valutato nel suo insieme permetteva di credere a un rilancio della compagnia anche tramite 6 miliardi di Euro d’investimenti. La compagnia franco-olandese si comporta da monopolista nel mercato interno ed europeo e le conseguenze sono state evidenti; non è un caso che dal 1997, anno della liberalizzazione, il mercato italiano da e per l’Europa abbia superato quello francese. Il potere della concorrenza e della debolezza di Alitalia.
Un’ultima questione riguarda i miliardi di euro “buttati” in Alitalia; sicuramente non valgono il mercato, ma soprattutto il turismo. Non è la bandiera di una compagnia a portare i turisti in Italia, ma è il mercato. I 55 milioni di passeggeri aerei aggiuntivi del 2007 rispetto ad un decennio prima, sono stati tutti trasportati da compagnie, principalmente straniere, che sono entrate sul mercato italiano grazie alla liberalizzazione. Il turismo italiano soffre di altre “malattie” non provocate certamente dalla crisi Alitalia.
Il prossimo mese d’agosto sarà un mese caldo e amaro sia che si trovi o meno una soluzione per Alitalia. Il punto d’arrivo sarà comunque sempre lo stesso, cioè lo spreco di denaro pubblico e la dimostrazione che lo Stato non è in grado di fare l’imprenditore.