Con l’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato del ministro dell’Economia Giulio Tremonti e del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha preso consistenza l’esame preliminare da parte del Parlamento del Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) per gli anni 2009-2013 approvato dal Governo nel Consiglio dei ministri del 18 giugno scorso. Questo consente di iniziare a valutare le prospettive dell’economia italiana sia alla luce dei più recenti dati relativi alla finanza pubblica e alla crescita, e sia sulla base delle misure previste nel Dpef e di quelle già assunte nel Decreto con le disposizioni urgenti per lo sviluppo economico che accompagna lo stesso Dpef.



Per quanto riguarda i dati, spiccano senz’altro l’indicazione del peggioramento dell’andamento del deficit che è passato, in percentuale del PIL, dall’1,9% del 2007 al 2,5% rilevato a maggio, e la conferma di un marcato rallentamento della crescita che, pur oscillando in sede di previsione tra lo zero e il mezzo punto percentuale, si dovrebbe attestare comunque nel 2008 non lontana dallo zero. Si tratta di cifre certamente allarmanti che, se combinate con la considerevole perdita di potere d’acquisto di salari e stipendi che sta accompagnando l’impressionante crescita dei prezzi delle materie prime, inducono a guardare al futuro con grande attenzione e prudenza.



Per quanto riguarda poi il Dpef, è opportuno subito dire che vanno molto apprezzate, dal punto di vista del metodo, sia la decisione di definire entro l’estate il programma economico del governo, obiettivo da raggiungersi tramite l’anticipazione della parte sostanziale della prossima legge finanziaria nel citato decreto già approvato e in un ulteriore provvedimento legislativo che affianca il Dpef stesso, e sia la sua proiezione sull’arco di un periodo di tre – cinque anni. Si dovrebbero così evitare le tradizionali defatiganti discussioni sulla finanziaria, stabilendo al contempo in tempi rapidi il quadro complessivo degli interventi di lungo periodo che si intendono prendere, prefigurando quindi un’azione complessiva ed organica in materia economica.



Per quanto attiene più propriamente alla sostanza delle misure previste, premettiamo subito che ci appare molto opportuna e responsabile la conferma dell’impegno, già assunto anche in sede europea, di arrivare al pareggio di bilancio nel 2011. Degli altri provvedimenti contenuti nel Dpef, molti sembrano andare nella giusta direzione di coniugare lo sviluppo con l’equità e la solidarietà.

Tre in particolare ci sembrano meritevoli di attenzione, sia in termini di organicità complessiva e sia soprattutto per la ricaduta potenziale sul sistema delle nostre imprese (si veda il Dpef per gli anni 2009-2013, pagina XIV, sotto la voce “Interventi per lo sviluppo”). La decisione di puntare con forza sulla produzione di energia nucleare, definendo le tipologie degli impianti, la localizzazione dei siti e le procedure di autorizzazione; il rafforzamento dei distretti, da raggiungersi attraverso l’estensione di benefici di carattere fiscale e la promozione dell’integrazione delle piccole e medie imprese che tradizionalmente ne costituiscono l’ossatura; e, infine, la costituzione di appositi fondi di investimento per l’innovazione con la partecipazione di investitori pubblici e privati.

Si tratta di tre indicazioni d’azione tra loro fortemente interconnesse che, se perseguite con decisione, possono davvero costituire un forte rilancio per il nostro sistema produttivo, per la gran parte composto proprio da piccole e medie imprese (Pmi) spesso organizzate nella forma distrettuale. Le Pmi sono una grande forza della nostra economia, capaci nel biennio 2006-2007 di un’eccezionale prova di forza e vitalità nitidamente esemplificata dal vero e proprio boom delle nostre esportazioni, ma sono state in passato spesso lasciate sole in una competizione sempre più aggressiva e difficile da sostenere per un Paese che, oltre a un debito pubblico impressionante, ha anche un deficit energetico che pesa come un macigno sulla nostra bilancia commerciale. Nel 2007, ad esempio, a fronte di un saldo negativo totale di meno di 10 miliardi di euro, il saldo negativo dovuto alle importazioni di energia ha raggiunto quasi i 50 miliardi di euro, ben compensato fortunatamente dagli straordinari successi complessivi delle nostre esportazioni. Ben venga dunque il rilancio del nucleare, anche se non bisogna illudersi che i risparmi dovuti all’utilizzo di questa fonte di energia possano aversi a breve. Il rafforzamento del sistema distrettuale, anche con l’introduzione di norme di fiscalità ad hoc, è poi un dovere per un Paese che a questa peculiare tipologia di organizzazione delle attività produttive deve molti dei suoi successi passati e recenti. Il previsto forte impulso al finanziamento dell’innovazione costituisce infine un indispensabile complemento ai due precedenti provvedimenti, perché la capacità di innovare è oggi probabilmente l’unico requisito assolutamente essenziale per sperare di vincere la sfida competitiva nell’era della globalizzazione.

L’Italia possiede un sistema produttivo, soprattutto nel manifatturiero, capace di straordinari successi, ma che soffre della cronica debolezza di un sistema Paese che poco fa per aiutare chi vuole intraprendere, innovare e, in definitiva, creare ricchezza per tutti. Se si vuole leggere in filigrana il programma economico di questa legislatura contenuto nel Dpef approvato dal governo Berlusconi, anche confrontandolo con quello presentato l’anno scorso dal governo Prodi, quello che più balza agli occhi, al di là della portata degli specifici provvedimenti programmati, è un cambio di mentalità: ad una concezione sostanzialmente negativa dell’impresa e dello spirito di imprenditorialità, quasi che gli imprenditori ed i lavoratori autonomi siano tutti (o quasi) da equiparare a evasori fiscali e profittatori del bene comune, se ne è sostituita oggi una fortunatamente molto più consapevole di come invece siano gli imprenditori con le loro imprese a far crescere il Paese. Questo cambio di cultura, che conduce in primis a valorizzare l’imprenditorialità responsabile delle nostre aziende di famiglia, è probabilmente il vero fatto nuovo in materia di politica economica dell’attuale governo. Un cambio di marcia capace però, da solo, quando opportunamente e concretamente declinato, di generare straordinari effetti positivi su tutto il nostro ingessato sistema Paese.