I nuovi dati sull’inflazione non aggiungono nulla di nuovo a ciò che già sapevamo: i forti rincari del prezzo del petrolio e delle commodities in generale stanno pesantemente impattando sui prezzi dei prodotti energetici e su quelli dei prodotti agricoli. A cascata vengono di conseguenza interessati i prezzi dei prodotti più a “valle” lungo la catena produttiva. E’ difficile dire quanto possa durare questa fase, certamente le previsioni sul mercato del petrolio non inducono all’ottimismo. Almeno nel breve periodo dovremo rassegnarci ad una maggiore inflazione



In questa situazione le banche centrali sono di fronte ad un forte dilemma: da una parte una inflazione in crescita che vorrebbero combattere con tassi di interesse più elevati, dall’altro una fase di rallentamento dell’economia mondiale, in particolare di quella americana che richiederebbe tassi più bassi. E’ la cosiddetta stagflazione (inflazione e rallentamento economico) che abbiamo già avuto modo di conoscere durante gli anni ‘70 guarda a caso a seguito dei due shock petroliferi.



Se le banche centrali dovessero alzare i tassi per controllare l’inflazione rischierebbero di peggiorare la situazione economica generale, per non parlare delle conseguenze sul mercato mobiliare (i valori borsistici sono ai minimi da 3 anni a questa parte) e su quello immobiliare già duramente colpito dalla crisi dei mutui. D’altro canto se dovessero abbassare i tassi per far fronte alla fase congiunturale avversa rischierebbero di perdere il controllo sulla dinamica dei prezzi.

Dobbiamo dunque temere un ritorno alle crisi degli anni ’70? Fortunatamente vi sono molti elementi di differenza: in primo luogo la struttura del mercato del lavoro e della contrattazione è profondamente diversa rispetto a 30 anni fa e di conseguenza risulta meno probabile il formarsi della spirale prezzi-salari che è stata alla base degli elevati tassi di inflazione negli anni ’70. In secondo luogo le stesse istituzioni (sindacati, e governi) hanno fatto tesoro dell’esperienza passata. In terzo luogo le banche centrali ora sono profondamente differenti rispetto al passato sia in termini istituzionali (in Europa c’è la BCE e non più le singole banche centrali) che in termini di esperienza acquisita. Infine la globalizzazione aiuta a contenere la crescita dei prezzi grazie alla disponibilità di prodotti a prezzi maggiormente competitivi provenienti dai mercati di India e Cina. Certamente l’economia mondiale non ha di fronte una prospettiva rosea, ma i policymakers attuali hanno gli strumenti e i mezzi per guidarla al di fuori dalla crisi attuale. Si tratta di avere pazienza e buon senso.