La terza fase di privatizzazione di Alitalia continua ad avere accelerate improvvise e brusche frenate. La settimana scorsa indiscrezioni giornalistiche avevano palesato un’imminente presentazione del piano di salvataggio del nuovo advisor, Intesa SanPaolo. Questo piano prevedeva una soluzione che poteva essere considerato una soluzione fallimentare, come la situazione di Alitalia.



Suddividendo la compagnia di bandiera nella parte sana dalla parte malata, la prima andava ai privati senza alcuna asta di mercato, mentre la seconda veniva messa a carico dello Stato. Gli esuberi previsti erano compresi tra il 30 e il 50 per cento della forza lavoro di Alitalia e l’impegno ulteriore dello Stato sarebbe contabilizzato all’incirca in un miliardo di Euro.
Alitalia Fly, il core business dell’azienda, avrebbe mantenuto gli asset più preziosi della compagnia e sarebbe confluita nella nuova NewCo insieme ad AirOne. La cordata italiana d’imprenditori, esterni al settore aereo, avrebbero dovuto dare un chip di circa 50 milioni di euro, con la speranza che la nuova compagnia non avrebbe bruciato altri soldi.
Alitalia Fly sarebbe stata ridotta e probabilmente la nuova compagnia con alle spalle Intesa – San Paolo avrebbe avuto solamente il 20-25 per cento della quota di mercato italiana e il 4 per cento di quella europea.
AirOne, secondo la soluzione prospettata, si sarebbe aggiudicata la nuova Alitalia senza alcuna asta di mercato.  



Se a dicembre l’offerta della compagnia abruzzese era stata inferiore a quella del colosso franco – olandese Air France – KLM perché assegnare direttamente a Luglio ad AirOne senza alcuna gara?
Le pressioni politiche e sindacali premono per arrivare ad una soluzione tutta italiana, perché solo in questo modo non sarebbero recise totalmente le influenze dei due attori che hanno portato al fallimento della compagnia. La soluzione francese ad Aprile sarebbe stata dura, ma non tanto quanto quella che sembra essere uscita in questi giorni. 

Si potrebbe allora affermare che “per fortuna” la soluzione tutta italiana e non di mercato era solamente  un’indiscrezione giornalistica; purtroppo non è così perché il Governo ha la via d’uscita molto stretta e la soluzione di Intesa, qualunque essa sarà, difficilmente potrà essere rifiutata.
Alitalia infatti sarebbe già fallita da dieci anni senza le continue ricapitalizzazioni a carico dei contribuenti. L’ultimo finanziamento da parte del Ministero delle Attività Produttive, il famoso prestito ponte di 300 milioni di Euro, permetterà alla compagnia di sopravvivere qualche altro mese e non i dodici mesi prospettati dall’azionista pubblico. 



Il vettore di bandiera continua a mostrare una disponibilità finanziaria netta a breve molto limitata. Alitalia ha condotto negli ultimi otto mesi operazioni straordinarie per circa 663 milioni di euro, 300 dei quali imputabili al prestito ponte. Senza queste operazioni (vendita slot, vendita opzioni sul carburante, vendita azioni, rimborso IRPEG e il finanziamento governativo), la disponibilità finanziaria netta a breve sarebbe in negativo per 448 milioni di Euro e la compagnia avrebbe già portato i libri in tribunale. 

Cosa differenzia le operazioni straordinarie di Alitalia? Le prime, quelle operate fino al 2 Aprile, erano tutte operazioni lecite, di mercato, dove la compagnia in difficoltà vendeva certe attività per potere andare avanti. L’ultima operazione, il prestito ponte, si configura invece come un aiuto di stato, altamente lesivo della concorrenza.
Il caso certamente è davvero bizzarro: il 2 Aprile non è solamente la data dell’ultima operazione straordinaria di Alitalia, ma anche dell’abbandono ufficiale di Air France – KLM dalla seconda fase di privatizzazione. 

Intesa – San Paolo, qualunque soluzione proporrà, non presenterà un piano facile ed ambizioso. Non è possibile prevedere come andrà a finire o chi vincerà la battaglia su Alitalia, ma certamente gli sconfitti sono già presenti all’appello: i contribuenti italiani.

(Foto: Imagoeconomica)