La strategia è quella predicata da tempo: accordi industriali specifici, che però non condizionano la libertà di business come le grandi fusioni. Ma stavolta l’accordo con Bmw segna un grosso salto di qualità. Finora, infatti, le intese siglate da Fiat Group Automobiles hanno avuto una caratteristica: la società di Mirafiori «concedeva» qualcosa ad un partner in quella circostanza più debole dal punto di vista industriale.
È il caso dell’accordo con Ford per la nuova Ka: in questo caso Fiat affitta la piattaforma della «500», tra l’altro nel suo impianto migliore per qualità, ad un concorrente. Stesso copione per gli altri accordi globali: con la turca Tofas, con Tata Motors (sperando che il socio indiano prima o poi apra le porte alla trazione posteriore di Jaguar), per non parlare di Severstal o della cinese Chevy.
Stavolta Fiat si mette a ruota di un partner più forte, «costretto» dalle dimensioni finanziarie della sfida a condividere con qualcuno i frutti del progetto «Number One».
È il gruppo italiano che ci guadagna stavolta. Perché nessun marchio del gruppo (salvo Ferrari) può contare su quel premium che i mercati riconoscono a Bmw. Fiat, perciò, ha l’occasione di salire in Prima Classe. E magari di non scenderci più, almeno con l’Alfa.
E Marchionne ci spera, anche grazie alla fame di rivalsa del team di Mirafiori. «Nell’accordo con Gm – ha detto l’ad – molte cose funzionavano. Ma molti manager americani consideravano i nostri manager più brillanti come mezze cartucce». L’arroganza, vizio congenito delle quattro ruote, giocò in quell’occasione un brutto scherzo a Detroit. Come spesso ne ha giocati, in passato, al mondo Fiat. Ora le cose sembrano cambiate in questa Fiat dove, a partire da Harald J.Wester, c’è pure molta Germania nei ruoli chiave. Inoltre, sul piano motoristico, la Fiat ha da insegnare qualcosa anche ai tedeschi quando si parla di basse cilindrate e iniezione elettronica. Inoltre, Fiat e Bmw hanno eguale interesse ad accelerare sul fronte della standardizzazione e condivisione delle architetture, per ridurre i costi e accorciare i tempi della realizzazione dei prodotti. E così, con una piattaforma comune (un bodypan, o pianale comune per più modelli) Fiat e Bmw progettano la riconquista dell’America fra tre anni, quando si spera che la crisi dei subprime sia solo un ricordo. E le famiglie, al momento di cambiare auto, preferiranno un’Alfa o una Mini a Suv o ibride giapponesi.
Nell’attesa si soffre. C`è chi, come la stessa Bmw, sta in pratica finanziando la clientela Usa con una sistematica sopravvalutazione dell’usato. C’è chi, come Fiat, deve prepararsi a superare la tempesta. L’America, ahimè, è ancora lontana.