Finalmente ci siamo! Con la conversione in legge del d.l. 112/2008, disponiamo dell’ennesima riforma legislativa dei servizi pubblici locali, che trova la sua collocazione nell’articolo 23bis del nuovo provvedimento.
Vi era davvero bisogno di un nuovo intervento sulla materia, che si dimostra subito complicato nel relazionarsi con la normativa in vigore e che per di più è realizzato attraverso uno strumento (il decreto legge) anomalo per il settore disciplinato?
La domanda ha una sua ragionevolezza. In questo nuovo Parlamento ci sono tutte le condizioni perché si eviti la quantità come parametro di buon funzionamento del legislativo.
Certo è che, intanto, non si è in presenza di una normativa quadro, ma piuttosto di un’altra tessera che si aggiunge al puzzle della disciplina dei servizi pubblici locali.
Eppure proprio a una normativa esaustiva oggi si dovrebbe aspirare, in presenza di un contesto regolatorio complicato da una normazione nazionale frammentata e chiamata a interagire con le diverse legislazioni regionali in modo non sempre agevole.
Una disposizione compare nel nuovo provvedimento in modo esplicito anche se non sufficientemente chiaro: la nuova proroga delle concessioni del servizio idrico integrato al 31 dicembre 2010. Vi sarà lavoro per gli interpreti per definire il perimetro di ciò che è prorogato e di ciò che non lo è; intanto è certo che faccia qui capolino il medesimo terrore del vuoto, la medesima preoccupazione per la fine di un’epoca (quella degli affidamenti pregressi) che ha caratterizzato il nostro legislatore negli ultimi dieci anni.
A tacere di questo pur rilevante profilo di vera politica del diritto, è bene ricordare che, tra l’altro, accanto alle normative di settore in senso proprio, vi è anche il d.lg. 152/2006, che l’articolo 23bis non menziona esplicitamente, ma che forse questo nostro legislatore del 2008 intende pur sempre integrato fra di esse.
Questo profilo del rapporto fra la nuova disposizione e le norme esistenti merita in effetti una breve riflessione.
Anzitutto il tema dei rapporti con le varie discipline di settore, che l’art. 23bis espressamente qualifica come recessive ove “incompatibili”: oltre alla necessità di ricostruire il corretto significato di tale “prevalenza” (che sembra oscillare fra deroga e abrogazione), talune fra le norme di settore si presentano più aperte della nuova disciplina, proprio sul piano della liberalizzazione, che costituisce uno dei principi cardine della nuova disciplina.
Il rischio è quello di un significativo “passo indietro” rispetto all’assetto normativo previgente, caratterizzato dalla presenza di talune discipline speciali che perseguono un più ampio grado di liberalizzazione in alcuni settori (ad esempio, gas, rifiuti e trasporto pubblico locale) rispetto ad altri (ad esempio, servizio idrico integrato).
Poiché, come noto, le discipline speciali che caratterizzano i citati settori (d.lg. n. 164/2000 per il gas; d.lg. n. 152/2006 per i rifiuti; d.lg. n. 422/1997 per il trasporto pubblico locale) sono indirizzate, anche in recepimento delle corrispondenti direttive unioniste, verso una più marcata apertura dei relativi mercati (con previsione della gara come unica modalità a regime per la scelta del gestore), il prevedere che su di esse prevalga la nuova disciplina recata dalla riforma (la quale, oltre alla gara, prevede le ulteriori modalità di affidamento compatibili con il diritto comunitario, quali l’in house providing) costituisce un evidente arretramento rispetto al livello di liberalizzazione oggi preteso dalle norme speciali di riferimento.
Notevole incertezza genera anche l’abrogazione dell’articolo 113 del TUEL, realizzata nella stessa forma dell’incompatibilità.
Criticità non indifferenti presenta, inoltre, la nuova disciplina – introdotta dai commi 3 e 4 dell’art. 23bis – concernente le modalità di affidamento diverse dall’evidenza pubblica, sia con riguardo all’individuazione delle eccezionali circostanze che devono sottendervi, sia con riferimento alla procedura imposta dal comma 4 (e, in particolare, al ruolo che in essa è chiamata ad assumere l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che, con particolare tempestività, il 24 luglio scorso è intervenuta su questo profilo della nuova disciplina ancora in fase di approvazione, affermando che la riforma «è suscettibile di miglioramento, per garantire una maggiore concorrenza finalizzata all’efficienza operativa dei servizi stessi». Secondo l’Antitrust, in particolare, l’attribuzione dei previsti compiti consultivi in favore dell’Autorità dovrebbe essere accompagnata da un ampliamento del relativo organico, pena il «pregiudizio nell’efficiente adempimento anche di quelli già esistenti»).
Infine mi pare che la portata innovativa della novella sia in qualche modo ulteriormente ridotta per via del rinvio disposto dall’art. 23bis ad una serie di regolamenti dell’Esecutivo chiamati a disciplinare analiticamente una significativa serie di profili attuativi della riforma. Si tratta di una seria manifestazione di incompiutezza, quale riflesso del ruolo alquanto incisivo assegnato alla normazione secondaria (nonché dell’incertezza cui è soggetta, pur in presenza del termine acceleratorio di 180 giorni previsto dalla legge, la relativa emanazione).
Del resto la legge è appena stata emanata e già si parla di un disegno di legge destinato a disciplinare l’intera materia dei servizi pubblici locali in forma compiuta. Speriamo che sia la volta buona e che, una volta che ciò sia davvero accaduto, si dia dimostrazione di quanto sia vera e reale la tradizionale immagine dell’Italia come patria del diritto: fatta la nuova legge (se mai accadrà) la si lasci sedimentare e si consenta a quanti ne sono implicati di mettersi al vento di essa.
I servizi pubblici sono la cartina di tornasole della qualità della vita di una comunità, locale o nazionale che sia.