La prima manovra finanziaria della nuova legislatura sembra voler gettare le basi di un nuovo corso che si qualifichi per rigore e responsabilità nella gestione del bene comune e dell’interesse dei cittadini. Con essa l’esecutivo ha assunto l’impegno del pareggio di bilancio entro il 2011 blindando i saldi e i tagli alla finanza pubblica. In un’epoca caratterizzata dalla perdita di fiducia nella capacità dell’intervento dello Stato di essere fattore determinante del livello e della distribuzione del reddito nazionale e, più in generale, strumento di correzione delle inefficienze e delle insufficienze del mercato, l’impostazione adottata dall’esecutivo vuole evitare che la legge finanziaria divenga l’occasione, per i parlamentari di maggioranza e opposizione, di aprire i rubinetti della spesa ed aggravare ulteriormente lo stato dei conti pubblici.
La legge finanziaria per l’anno 2009, che si comporrà di tre articoli, conterrà infatti disposizioni esclusivamente attinenti al suo contenuto tipico, con l’esclusione di disposizioni finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell’economia, nonché di carattere ordinamentale, micro settoriale o localistico. In altre parole, la finanziaria 2009 non potrà diventare il decreto omnibus che ha caratterizzato le precedenti disposizioni di fine anno. Il metodo adottato, se i fatti lo attesteranno, permetterà di recuperare quella “fiducia nelle istituzioni”, principale capitale sociale della società, di cui il nostro Paese ha particolarmente bisogno; permetterà di ricostituire quel bene immateriale necessario per lo sviluppo e la crescita civile, base e collante della collettività, indispensabile a generare effetti positivi per la vita economica, sociale e politica. E’ vero, correggere le inefficienze dell’intervento dello Stato incontra grandi difficoltà politiche e spesso i sistemi politici democratici non riescono a superare la discrasia tra le scelte di breve periodo e quelle di medio-lungo. Le inefficienze sono in parte il prodotto di errori nella progettazione e nella gestione delle risorse e in parte la conseguenza delle scelte collettive nel processo politico democratico. Queste sono particolarmente rilevanti nei Paesi in cui prevalgono il centralismo nell’organizzazione dei livelli di governo e l’irresponsabilità finanziarie delle autorità decentrate. Solo con una maggioranza di Governo caratterizzata da una forte unità e stabilità si possono attuare le riforme necessarie al Paese e superare le tensioni derivanti dagli aggiustamenti di breve periodo, necessari per ritrovare gli equilibri tra pubblico e privato compatibili con la crescita del reddito e dell’occupazione. Il nostro sistema politico è stato costruito in un’epoca in cui la crescita della spesa pubblica è stata finanziata prevalentemente dai disavanzi. Gestire una crescente quota di risorse a favore dei cosiddetti “clientes”, finanziata solo in parte con nuovi tributi, ha generato in capo ai professionisti della politica benefici politici non indifferenti e forti resistenze al cambiamento.
Lo stato dei conti pubblici, il deficit strutturale del nostro Paese, la scarsa considerazione delle classi produttive e l’assenza di criteri meritocratici nella scelta delle professionalità deputate a ricoprire ruoli chiave nelle Istituzioni, ha determinato la necessità di un profondo cambiamento. La maggioranza di governo sembra aver compreso che il Paese ha bisogno di azioni incisive e fra loro concatenate che, anche sotto forma di una vera e propria rivoluzione culturale, intervengano su fiducia, meritocrazia, riduzione della pressione fiscale, riduzione e riqualificazione della spesa pubblica. Soprattutto se si tiene conto che l’esigenza di risanamento dei conti pubblici si profila in un contesto caratterizzato dal progressivo invecchiamento della popolazione e dalla riduzione della base produttiva e da una profonda crisi congiunturale. Ed è questa la sfida che l’esecutivo ha compreso di dover affrontare; una sfida che presenta forti resistenze in quei settori ed in quelle costole della pubblica amministrazione il cui grado di intromissione nell’economia non ha ragioni economiche e sociali. E se è vero che i rappresentanti dell’Azienda Italia sono mandatari di una funzione che riflette l’interesse della collettività, e che, in quanto tali, devono agire assumendo esclusivamente comportamenti responsabili per la gestione e lo sviluppo del bene comune, evitando di privilegiare benefici privati propri o di gruppi di interesse che offrono loro sostegno elettorale, è assolutamente indispensabile che i responsabili di governo interessati dai tagli compiano lo sforzo di razionalizzare le risorse loro disponibili annullando gli sprechi e organizzando le funzioni secondo criteri di efficacia ed efficienza.
Dalla manovra non si evincono spazi per la riduzione della pressione fiscale, indispensabile a correggere la dinamica dei consumi e a permettere la ripresa economica. Il dividendo fiscale dovrà provenire dalla riforma del sistema fiscale in attuazione del federalismo fiscale, attraverso il quale verranno ridisegnati sul fronte delle entrate e su quello delle responsabilità di spesa i rapporti tra Stato e Autonomie locali. L’auspicio è che le intenzioni e le azioni di questi primi mesi di governo, che hanno permesso una ripresa della fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, siano solo l’inizio di una rinnovata “correttezza relazionale”, elemento reputazionale essenziale a sviluppare la cultura della legalità, il senso civico dei cittadini e la cura del bene comune. Certo, la situazione economica internazionale e la crescita del PIL nazionale rendono il compito della classe dirigente del nostro Paese particolarmente complesso, ma siamo convinti che il desiderio di costruire una prospettiva economica e sociale che contribuisca alla libertà e al benessere delle prossime generazioni sia uno stimolo sufficiente a cogliere la sfida che siamo chiamati ad affrontare.