Professor Quadrio Curzio, il dibattito sul federalismo, dal modello lombardo alla bozza Calderoli, continua. Il federalismo ultima versione dovrebbe garantire alle regioni più deboli di fornire servizi essenziali ai cittadini al pari delle regioni più ricche, grazie ad una fiscalità regionale e ad un meccanismo di perequazione più equo. Che ne pensa?
Tutte le volte che parliamo di federalismo dobbiamo ricordarci che il federalismo promana da due concetti fondamentali della nostra cultura politica, sussidiarietà e solidarietà entrambe finalizzate allo sviluppo. È un punto che dobbiamo tenere ben presente perché sta qui, a mio avviso, la base concettuale del federalismo. Detto questo, direi che la traccia che si sta seguendo – gettito tributario correlato al tipo di servizi che il soggetto istituzionale deve erogare – sia la strada giusta. Bene l’Irpef alle Regioni, quindi. A livello delle Regioni tutto ciò che attiene i servizi alla persona, sanità ma anche formazione e istruzione, che sono categorie al pari fondamentali del servizio alla persona, deve essere adeguatamente finanziato in capo al soggetto regionale affinché esso possa produrre i servizi necessari. La sussidiarietà, in questo campo, deve prevedere una scalarità che attribuisce alle Regioni un ruolo primario, ma in un quadro che rimane tuttavia nazionale ed europeo.
Il governo ha abolito l’Ici sulla prima casa, che costituiva un grosso introito per i comuni; d’altra parte il federalismo prevede una capacità impositiva decentrata. Il governo ha abolito un’imposta federalista ante litteram?
Dobbiamo ricordare che la soppressione dell’Ici avvenuta con il decreto legge 93 ha un’incidenza del 26% sul gettito totale Ici, che comprende altri cespiti. Dunque se l’Ici rende circa 12,5 miliardi, quella che è stata abolita riguarda solo 2,4-2,5 miliardi, compresa la parte che era stata cancellata dal governo Prodi. Detto questo, quando si andrà verso il federalismo fiscale è possibile che in capo ai comuni sia ricostituita un’imposta che ha a che fare col patrimonio immobiliare. A mio avviso dovrebbe essere configurata in modo più attinente il reddito del patrimonio che non il patrimonio immobiliare in quanto tale. Nella soppressione dell’Ici non vedo quindi un “attentato” al federalismo. Si potrà reintrodurre un’imposta specifica sugli immobili correlata alla redditualità, oppure, per esempio, un’imposta alternativa per chi ha immobili sfitti inutilizzati, tale da indurli a locarli perché potrebbe averne un vantaggio fiscale.
Il problema dell’attuazione del federalismo incontra quello delle Regioni a statuto speciale, che attualmente assorbono più di un terzo dei trasferimenti dello Stato alle Regioni. Come va affrontato questo problema?
Occorre tenere ben distinto il problema economico-fiscale dal problema politico. Quest’ultimo ha a che fare anche con accordi internazionali, soprattutto per quanto riguarda l’Alto Adige, meno la Valle d’Aosta, per nulla il Trentino. Dal punto di vista strettamente fiscale, senza prescindere dall’aspetto politico – che ovviamente non può esser trascurato dal governo – è chiaro che la situazione delle Regioni a statuto autonomo, in un contesto di nuova normativa costituzionale o para costituzionale di devoluzione della potestà tributaria alle singole Regioni, andrà rivista. Non entro nel merito dell’aspetto politico-istituzionale.
Vede dei rischi insiti nel processo di costruzione del federalismo che ci attende?
Occorre evitare di ritrovarsi con un nuovo centralismo regionale. Quando le Regioni avranno più poteri, non dovranno mai dimenticarsi che una democrazia vive su tre elementi: le istituzioni, la società e il mercato. Avremo un buon sistema federale se questo saprà realizzare un maggiore equilibrio tra istituzioni, società e mercato. Il solo bipolarismo Stato regionale-mercato non è coerente col principio di sussidiarietà e quindi non è coerente col federalismo.
Come possiamo evitare un nuovo centralismo?
Solo la sussidiarietà può impedire che, al termine del percorso di costruzione del federalismo, ci ritroviamo un centralismo su scala ridotta. Sussidiarietà, in fin dei conti, vuol dire proprio questo: spazio a tutti i soggetti che hanno ruolo in una democrazia. E si badi bene che la sussidiarietà rimanda innanzitutto agli aspetti sociali: il che non vuol dire innanzitutto e non solo, come molti pensano, equità ridistributiva, ma spazio alla capacità di iniziativa e alla creatività della persona e dei corpi intermedi.