Non credo molto nelle tante classifiche internazionali, anche se prodotte da istituzioni autorevoli come la Banca Mondiale che, a proposito della difficoltà di fare impresa nel mondo, relega l’Italia al 53° posto e addirittura al 65° per quello che riguarda i tempi di apertura. Però, anche se troppo punitiva, tale classifica mette in luce un problema vero.
L’ordinamento italiano, infatti, ha ancora una visione dell’attività imprenditoriale come un “perturbamento” dell’ordinario, qualcosa da trattare con molte cautele e attenzioni e non, invece, come un diritto e un valore da promuovere. Ne deriva l’imposizione di tutta una serie di adempimenti preventivi all’avvio di un’attività, molte volte inutili e quasi tutti sostituibili da controlli successivi. Oltre il tempo che queste “pratiche” fanno perdere, per gli operatori è gravemente dannosa soprattutto la mancanza di certezza nell’applicazione di norme che gli uffici attuano in modo diverso, ad esempio tra Comune e Comune o perfino da ufficio a ufficio nello stesso Comune.
Da questo punto di vista il decreto legge 112 emanato dal Governo e convertito in legge prima della pausa estiva contiene una norma importante all’articolo 38, dove si afferma che «l’avvio di attività imprenditoriale, per il soggetto in possesso dei requisiti di legge, è tutelato sin dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività o dalla richiesta del titolo autorizzatorio». È un’affermazione di straordinaria importanza, una novità assoluta nel nostro ordinamento.
Su questi argomenti ci sono stati di recente diversi interventi normativi e oggi la situazione si presenta in evoluzione. Proviamo dunque a fare il punto.
Chi intende intraprendere un’attività economica deve entrare in contatto con il sistema pubblico per compiere due serie di attività. Un primo gruppo, riguarda il metter su l’impresa, farla nascere; l’altro, l’avvio della concreta attività operativa quando siano richieste autorizzazioni amministrative o quando si debba procedere alla realizzazione di impianti o fabbricati.
Sul primo fronte (far nascere l’impresa) è intervenuta di recente la legge 40 del 2007 che ha previsto che l’ente unico di riferimento sia la Camera di commercio. Per far nascere un’impresa occorre compiere una serie di atti e dichiarazioni distinte da inviare alle Camere di commercio per l’iscrizione al registro imprese, all’Inps per la costituzione delle posizioni previdenziali del personale, all’Inail per la copertura assicurativa sugli incidenti, all’Agenzia delle entrate per la partita Iva. La nuova norma rende possibile compiere questi adempimenti in modo telematico con una “comunicazione unica” alla sola Camera di commercio.
Perché la nuova modalità entri a regime occorre l’emanazione (attesa a breve) delle regole tecniche per le connessioni telematiche tra i diversi sistemi, peraltro già predisposte e attualmente in fase di sperimentazione in metà delle province italiane.
La stampa in questi giorni ha evidenziato come le pratiche finora inviate in via sperimentale con la “comunicazione unica” siano ancora molto poche (meno di duemila), ma l’obiettivo in questa fase era solo quello di verificare la tenuta organizzativa e tecnologica delle nuove procedure. Una verifica chiusa con pieno successo. Perché i “numeri” crescano” occorrerà che gli operatori, in primo luogo i professionisti a cui l’imprenditore si rivolge, adottino pienamente queste procedure. È accaduto lo stesso con l’esperienza dell’invio telematico dei bilanci alle Camere di commercio: per mandare in soffitta una vecchia prassi non basta offrirne una più semplice, occorre accompagnare l’innovazione con la necessaria formazione degli operatori. Oggi, oltre 600mila bilanci arrivano via internet ogni anno alle Camere e nessuno vorrebbe tornare indietro alle code e alla carta.
Il secondo fronte è quello relativo all’avvio delle concrete attività aziendali. Nel 1998 si decise che fossero i Comuni a realizzare gli Sportelli unici per i procedimenti relativi alla localizzazione, realizzazione, ristrutturazione di impianti ad uso imprenditoriale.
In dieci anni il sistema ha funzionato in un numero ridottissimo di casi.
Secondo il Formez, a fine 2007 negli 8.100 Comuni italiani gli Sportelli formalmente istituiti erano 5.718 (il 70,6% del totale), di cui solo 3.297 operativi. L’uso della telematica è raro: solo la metà di quelli operativi è gestito via internet e quasi sconosciuta è la firma digitale, necessaria per eliminare davvero la carta.
In ogni caso, sono rimasti in piedi più interlocutori pubblici quando all’imprenditore, pur non dovendo realizzare un fabbricato, sono richieste autorizzazioni preventive. Anche perché il sistema della Dichiarazione di inizio attività (DIA) ha funzionato davvero poco.
Il recente decreto legge 112 è intervenuto con alcuni forti correttivi:
A) lo Sportello unico dovrà effettivamente essere unico, e cioè l’esclusivo interlocutore per l’avvio delle attività: tutte le pratiche dovranno essere veicolate suo tramite, anche se rivolte ad altre pubbliche amministrazioni;
B) la dichiarazione di inizio di attività sarà, salvo eccezioni, sufficiente per avviare le attività. Al riguardo sarebbe opportuno per fare un passo avanti elencare non per categorie generiche di materie, come accade oggi, ma per categorie specifiche, quelle attività escluse dall’applicazione della DIA;
C) la telematica dovrà essere la via ordinaria, o meglio l’unica via, per le comunicazioni tra utenti e sportello unico;
D) le Camere di commercio interverranno, su delega, non facoltativa, dei Comuni laddove i Comuni non abbiano realizzato lo Sportello unico o dove quest’ultimo non abbia gli standard qualitativi che saranno previsti;
E) apposite agenzie private potranno assistere gli operatori nelle prime fasi. Spesso gli operatori più piccoli non hanno tutte le conoscenze per muoversi tra le norme e non usano la DIA, anche là dove potrebbero, per il timore di controlli successivi degli uffici pubblici preferendo aspettare che arrivino tutte le autorizzazioni prescritte: le Agenzie dovrebbero perciò efficacemente affiancarli nelle prime fasi.
Queste novità sono importanti e faranno fare un ulteriore passo. Ma basteranno a dar vita ad una svolta? A mio avviso una svolta ci sarà se solo se, con la partecipazione attiva delle Regioni che hanno competenza sulla gran parte delle materie coinvolte, si intraprenderà seriamente il disboscamento di centinaia di adempimenti amministrativi, oggi totalmente inutili, la cui conservazione costa al sistema delle imprese quasi un punto di Pil all’anno.