Ministro Matteoli, quali sono le priorità in tema di trasporti?

Le infrastrutture previste dalla legge obiettivo rimangono prioritarie. Sono la Torino-Lione, la Brebemi, la Brescia-Bergamo-Milano – dove c’è un problema con l’Europa, che speriamo possa risolversi nei prossimi giorni e che darebbe così il via all’opera, nel Veneto il passante di Mestre, poi sicuramente l’autostrada Cecina-Civitavecchia, l’obbligo di terminare la Salerno-Reggio Calabria… strutture che abbiamo inserito nell’allegato al Dpef. Poi, naturalmente, il completamento delle linee ferroviarie Tav e ovviamente anche il Ponte sullo Stretto che è un ulteriore obiettivo prioritario che il Governo intende realizzare.



Perché le grandi infrastrutture producano benefici, devono essere connesse con il resto del sistema territoriale. Sulle piccole infrastrutture locali è il caso di applicare un metodo fiscale di tipo federale? Come? Tasse di scopo, sussidi incrociati…

È un problema da affrontare caso per caso. Onestamente, se pensiamo di realizzare le infrastrutture di cui il paese ha bisogno con i soldi che sono nelle casse dello Stato, certamente non le facciamo. Ho già avuto diversi incontri con costruttori privati, che fanno parte dell’Agi – Associazione Grandi Imprese – ma anche con l’Ance e altri. I privati dicono: noi siamo disponibili se il governo garantisce regole certe e tempi certi. Noi stiamo lavorando con loro per capire e definire le regole e i tempi necessari. È vero: storicamente il nostro paese ha realizzato infrastrutture che sono rimaste fuori rete. Basti soltanto pensare al sistema dei porti, che sono dotati di grandi potenzialità, ma che non sono collegati – o lo sono in modo scarso – alla rete ferroviaria. Ne ho parlato con Moretti. Le cose da fare sono molte, ma credo che, non essendoci più quel “no” a tutto tipico dell’ambientalismo ideologizzato, si possano fare passi avanti. Vede, il problema delle infrastrutture non è innanzitutto quello di far arrivare a casa un quarto d’ora prima, ma di aiutare il sistema delle imprese, che sono diffusissime sul territorio e che hanno bisogno di materie prime, di lavorare il prodotto e di consegnarlo. Senza infrastrutture il costo dei trasporti incide troppo sul costo del prodotto finito e perdiamo in competitività.



Secondo un’opinione abbastanza diffusa non è così automatico che facendo le infrastrutture si risolvano i problemi: se cioè facciamo una terza corsia, dovremo poi farne una quarta, e via dicendo, secondo il principio che il traffico satura naturalmente la rete disponibile. Si pone il problema di un utilizzo più ottimale della rete esistente. Che ne pensa?

In Italia abbiamo un dato sconcertante: un numero di auto circolanti che non ha eguali al mondo, se proporzionato al numero di abitanti, vale a dire circa 35 milioni di auto per 56 milioni di abitanti. Non credo che il traffico possa crescere più di così, almeno per il momento. Se mai abbiamo un duplice obbligo: primo, favorire il trasporto merci su rotaia. Terminata la Tav avremo alcune linee che potranno essere adibite a trasporto merci. E poi le autostrade del mare. Ora sono poche, vanno potenziate. Io stesso ho avuto modo di costatare la loro efficacia, anche in termini di sicurezza: parlo dell’autostrada del mare che va da Messina a Salerno. Il trasporto camion via mare è efficiente e gli autisti possono ricominciare a guidare riposati.



Per ottimizzare l’utilizzo della rete pensa che sia necessario accelerare il percorso delle liberalizzazioni?

Sì, tenendo presente però che ci sono certi settori che hanno una “consistenza” sociale che non può essere ignorata. E mi riferisco in particolare alle ferrovie. Serve a poco andare in tre ore da Milano a Roma se poi ci dimentichiamo delle linee utilizzate dai pendolari. Qui occorrerà tenere basse le tariffe per permetterne l’utilizzo al maggior numero di viaggiatori.

Se il Passante di Milano fosse gestito dall’impresa regionale, avrebbe il 30% in più di capacità rispetto alla gestione di Ferrovie dello Stato…

Siamo di fronte ad uno scenario ampio. Se dividiamo i problemi e tentiamo di risolverli uno alla volta non riusciremo a venirne fuori. Occorre affrontare il problema delle infrastrutture con una strategia che tenga conto dello stato dei fondi e della situazione del trasporto nel suo complesso.

Lei ha detto di voler riscrivere l’Agenda del trasporto pubblico locale, avviata da Prodi e Letta. Quali sono i nodi da risolvere e a che punto siamo?

Se c’è una cosa che mi preoccupa più di tutte è proprio il trasporto pubblico locale, perché l’aumento dei costi del petrolio, con gli stipendi che restano bassi e la ripresa dei consumi che manca, avremo sempre più persone che lasciano a casa l’auto. Ci sarà una crescente domanda di trasporto pubblico locale, che oggi è assolutamente impreparato a sostenere un numero crescente di utenti. Voglio aprire un tavolo con l’Anci per affrontare il problema. Va anche detto che la situazione è ferma da 30 anni. A metà degli anni ’70 c’erano molti privati nel settore. Poi molte amministrazioni di sinistra hanno spinto perché il trasporto locale diventasse pubblico, per non caricarne i costi – così dicevano – sui cittadini. Poi ogni anno in Parlamento si rifinanziava la legge 151 per ripianare i debiti del Tpl. I conti quadravano ma pagava lo Stato. Fortunatamente oggi questo non è più possibile, ma la situazione del trasporto locale è precipitata. Quindi bisogna fare la storia di questi trent’anni per trovare la soluzione.

Da dove ripartiamo?

Dal dialogo con i Comuni. Vedere se in qualche caso è possibile riaprire al privato, tenendo conto delle risorse disponibili.

C’è un’emergenza abitativa per le classi medie. Lo Stato non ha i soldi per investire. Non è il momento di introdurre più libertà per gli operatori sociali, ridurre il costo Iva prima casa, o adottare altri provvedimenti in chiave sussidiaria?

Il piano casa, messo a punto da Tremonti e me, è quasi pronto e lo presenteremo nelle prossime settimane: case per studenti, giovani coppie, immigrati in regola, anziani… Ci sono privati disponibili ad investire. Prevede di dare in affitto le case per 12-15 anni, dopodiché coloro che vorranno potranno riscattarle. Dovrebbe partire un primo lotto di 23 mila abitazioni.

Pensate di ridurre il costo dell’Iva sulla prima casa?

Sulle case che rientrano nel piano, sì. Per farlo abbiamo bisogno dell’accordo con i comuni che mettono a disposizione i terreni. Ripeto, il piano casa è in dirittura d’arrivo e conterrà misure importanti.