È quasi impossibile discutere sugli aspetti reali e su quelli finanziari dell’economia come se fossero due cose distinte. In larga parte, le variabili finanziarie sono una conseguenza delle variabili reali, e il loro valore è dovuto proprio al fatto che le variabili reali produrranno, o si presume che produrranno, un maggior reddito in futuro. Analogamente, molte transazioni reali implicano scambi o azioni nel corso del tempo, che non possono essere condotte (o almeno non in modo efficiente) senza transazioni finanziarie.
Molte attività produttive comportano la necessità di sostenere adesso delle spese (relative al lavoro e solitamente anche ad altre risorse produttive) in vista della riscossione di un reddito futuro. I produttori agricoli acquistano fattori produttivi come i fertilizzanti, impiegano lavoro e macchinari per coltivare i campi nell’ottica di ottenere un ricavo dai raccolti che realizzeranno.
Possono scegliere di farlo impiegando risorse proprie, oppure prendendo del denaro in prestito. Nelle economie avanzate possono addirittura ottenere finanziamenti per acquistare gli input necessari vendendo in anticipo i frutti dei loro raccolti agricoli. In tal modo ricevono dei pagamenti adesso in cambio di una consegna futura del raccolto agricolo che realizzeranno (ovviamente con un appropriato sconto, un fattore che adesso scelgo di non considerare). La persona che li paga adesso dispone di un titolo finanziario, che può essere convertito in uno reale (il raccolto) al momento della mietitura.
Come mostra questo semplice esempio, i titoli finanziari hanno un valore legato al bene reale (il raccolto) cui essi sono riferiti, ed in particolare relativo al prezzo che in futuro ci aspettiamo sarà pagato per tali beni. Nelle economie primitive i titoli finanziari erano poco diffusi, perché molte produzioni erano per uso personale e solo una piccola frazione della produzione veniva immessa sul mercato.
Con il progressivo sviluppo delle economie dai livelli primari di sussistenza, si diffondono sempre più gli scambi, molti dei quali basati su pagamenti nel presente per ritorni nel futuro. Le imprese pagano i loro lavoratori mentre i prodotti sono ancora in lavorazione, usando mezzi propri o presi a prestito per finanziare il pagamento dei salari e l’acquisto di materie prime fino al momento in cui potranno vendere i prodotti finiti. Nelle economie più avanzate, come già accennato, possono ottenere dei finanziamenti sulla base dei presunti incassi futuri.
La storia dello sviluppo economico in occidente dopo il 1700 è basata sulla crescita della produzione, sulla disponibilità di strumenti finanziari sempre più sofisticati e su una quota crescente di ricchezza finanziaria rispetto al PIL, dovuta proprio alla crescita di tali transazioni finanziarie. È questo il grande valore dell’intermediazione finanziaria, che rappresenta un fattore essenziale di crescita per una economia moderna e una fonte di rilevanti incrementi di produttività. Senza istituzioni finanziarie affidabili le aziende più produttive e redditizie possono espandersi solo investendo le risorse interne (come le aziende familiari nei paesi poveri), mentre quelle meno redditizie o non investono del tutto (e quindi non ottengono alcun rendimento), oppure lo fanno con tassi di rendimento molto bassi.
Risulta quindi evidente, che un meccanismo finanziario che garantisce un rendimento più alto a chi investe in una azienda poco produttiva porterà dei benefici sia all’investitore sia al proprietario dell’azienda, aumentando la produttività dell’intera economia. Ci sono altri benefici che potrei menzionare, ma il tempo che ho a disposizione non mi permette di farlo.
Il progressivo sviluppo delle economie porta alla definizione di strumenti finanziari sempre più complessi: 300 anni fa l’oro e l’argento erano i principali titoli finanziari. Poi sono diventate sempre più importanti le valute, in seguito i depositi bancari, i depositi a risparmio, le grandi compagnie per azioni, e uno stuolo di intermediari finanziari. Tutte queste istituzioni hanno creato valore permettendo di indirizzare le risorse verso le attività più produttive, lasciando quelle meno produttive.
Fino ad ora ho tralasciato un aspetto molto importante del legame fra variabili reali e finanziarie. Esso consiste nel fatto che la componente futura della transazione necessariamente contiene un certo grado di incertezza. Mentre il contadino conosce quanto fertilizzante e quante sementi sta utilizzando, egli non è in grado di anticipare esattamente l’ammontare del suo raccolto. Inoltre, non conosce a priori il prezzo a cui lo venderà. Anche se alcuni governi hanno adottato dei piani di sviluppo che riducono tale incertezza, molto spesso è il settore finanziario che permette ai produttori agricoli e non di ridurre tale incertezza, vendendo in anticipo i propri raccolti, acquistando polizze assicurative, ecc.
Il settore finanziario pertanto assolve due funzioni importanti: permette di impiegare le risorse in modo più produttivo (anche se basandosi su aspettative) e consente agli individui di ridurre l’incertezza. Le persone con maggior propensione al rischio cercheranno rendimenti più elevati (in media), sottoponendosi però a maggiori fluttuazioni dei loro rendimenti. Chi ha buone idee per nuovi prodotti o processi spesso non è disposto a correre il rischio imprenditoriale, o non ne è capace: il settore finanziario, quando funziona bene, permette che queste innovazioni siano finanziate da chi è disposto ad assumere il rischio. Con vantaggi per entrambi.
L’affermazione iniziale “che non ci sono dubbi sul fatto che la finanza e l’economia sono interconnesse e che l’una non può vivere e svilupparsi senza l’altra” è corretta. Ma il fatto che gli strumenti finanziari generalmente comportino un certo grado di rischio in quanto legano il presente con il futuro implica che essi sono più volatili delle transazioni correnti.
Nei due secoli passati abbiamo avuto crisi finanziarie, o fluttuazioni considerevoli. Nei periodi in cui le condizioni economiche sono migliorate, le persone sono diventate eccessivamente ottimiste e hanno pensato che quelle condizioni favorevoli sarebbero durate indefinitamente. Così quando l’economia è entrata in una fase recessiva, ha spesso prevalso un eccessivo pessimismo sul futuro. Il compito della politica monetaria è sempre stato quello di far sì che il credito a disposizione dell’economia reale fosse sufficiente per sostenere l’attività economica e un tasso appropriato di crescita economica, non certo di consentire che le condizioni di concessione del credito divenissero così facili da portare a una forte pressione su prezzi e domanda. Decidere la politica più appropriata è, ed è sempre stato, difficile.
Nella situazione attuale la crescita dell’economia mondiale è sempre stata molto forte – praticamente la più alta mai registrata – e per un periodo molto prolungato (dal 2002). Inoltre, essa si è registrata in ogni parte del mondo. I tassi reali di crescita del PIL sono aumentati come mai in precedenza nei mercati emergenti, specialmente in Cina e India. La crescita è accelerata anche nell’Africa sub-sahariana, dove in precedenza i redditi pro capite non aumentavano. Una conseguenza importante di questa crescita è stata che la pressione inflativa, che solitamente parte abbastanza presto nelle fasi di espansione, non è mai comparsa nella maggior parte dei paesi.
Poiché i livelli dei prezzi sono rimasti abbastanza stabili, le autorità monetarie non hanno ristretto le condizioni del credito. Diversi analisti hanno notato l’assenza di pressioni verso l’alto sui salari (attribuibile in parte ad una disponibilità crescente di lavoro non qualificato nella realizzazione di beni ad alta intensità di lavoro specialmente nei paesi emergenti) e di conseguenza la disponibilità di liquidità è sempre stata molto ampia . Questo ha tenuto i tassi di interesse bassi. E ha permesso ai mercati emergenti di rifinanziare i loro notevoli debiti a bassi tassi di interesse, dato che i mercati finanziari cercavano un certo grado di rendimento (offerto dai mercati emergenti per il loro maggior livello di rischio).
Ma i bassi tassi di interesse hanno anche incoraggiato gli investimenti in altri beni, come le abitazioni. La gente con stipendi elevati ha cercato case migliori; i bassi tassi di interesse hanno spinto molti a diventare proprietari di case (anche contraendo mutui rilevanti) o a migliorare le proprie condizioni abitative. Le banche sono state sempre più coinvolte nei prestiti e hanno chiesto garanzie sempre meno rilevanti alle persone cui fornivano denaro. Hanno anche incrementato la loro esposizione nei prestiti legati al mercato immobiliare, fornendo ulteriore credito ai proprietari di case, che potevano utilizzarlo come volevano, sia nelle loro abitazioni, sia per aumentare i propri consumi anche in altri beni e servizi. Questo ha portato ad un aumento della percentuale di popolazione proprietaria di case, ma per molti con una diminuzione della quota di denaro proprio investita.
Come conseguenza della concorrenza del settore, le banche hanno iniziato a chiedere sempre meno garanzie sull’effettiva capacità del debitore di restituire il prestito. Hanno offerto mutui con condizioni iniziali molto attraenti per incoraggiare la gente a comprare una casa (o per comprarne una ad un prezzo maggiore di quello che poteva effettivamente permettersi).
Un fattore che ha incoraggiato le banche ad operare in questo modo è stato lo sviluppo del mercato dei mutui “impacchettati” in categorie differenti di rischio, che venivano poi rivenduti. Alcuni acquirenti potevano, per esempio, comprare un “pacchetto” di impegni di pagamento relativi ai primi anni del mutuo, mentre altri, più disponibili ad accettare un rischio maggiore in cambio di un rendimento più elevato, potevano comprare un “pacchetto” legato ai pagamenti successivi. Vi è qualche indicazione che i venditori di queste porzioni di mutui potrebbero avere offerto garanzie di riacquisto degli stessi se necessario. Allo stesso tempo, sembrerebbe che i venditori abbiano pensato di mettersi al riparo dal rischio vendendo questi pacchetti. Inoltre, sembra che le banche abbiano trattenuto presso di sé molti più prodotti di questo tipo di quanto si pensasse.
Mentre tutto ciò stava accadendo, la crescita economica mondiale continuava ad essere così sostenuta da mettere sotto pressione i prezzi delle commodities, in particolare petrolio, rame e uranio, ma col tempo l’aumento si è esteso a tutti i metalli, minerali e ai prodotti agricoli. La crescita economica mondiale ha dovuto ad un certo punto rallentare e scendere ad un livello più sostenibile.
Prima di passare direttamente alle cause della situazione attuale, bisogna notare due cose. Primo, malgrado tutto il biasimo rivolto alle banche che hanno erogato mutui sub-prime (e alcune di loro lo meritano proprio), occorre osservare che alcune persone hanno potuto grazie a loro comprare (e mantenere) un’abitazione che altrimenti non avrebbero mai potuto avere. Secondo, non tutti prestiti sub-prime sono stati fatti a persone con basso reddito: in alcune zone degli Stati Uniti, una grande parte di tali prestiti è stata erogata a persone che desideravano acquistare una seconda casa, oppure che avevano finalità speculative. (Molte di queste abitazioni non sono mai state occupate dai proprietari). Perciò, se da un lato molti hanno sofferto per il pasticcio dei sub-prime, dall’altro in esso sono rimasti presi anche speculatori in cerca dell’affare.
Il rallentamento dell’economia reale è cominciato, perlomeno negli Stati Uniti, esattamente nello stesso tempo in cui l’aumento dei prezzi delle commodities si stava rinforzando e i tassi facili sui mutui sub-prime sono stati sostituiti con tassi di interesse significativamente più alti. Il rallentamento nell’economia sarebbe accaduto anche senza la crisi dei “sub-prime”, ma questa lo ha intensificato in modo evidente. E, naturalmente, quando il rallentamento è cominciato (parliamo di rallentamento non di recessione), i redditi di diverse persone sono aumentati meno rapidamente di quello che si aspettavano e trovare un nuovo lavoro è diventato molto più difficile che prima. Di conseguenza, molti non sono più stati in grado di pagare i loro mutui per i tassi di interesse diventati troppo elevati, o perché il loro reddito era diminuito, o cresciuto meno di quanto previsto.
Certamente, il boom delle costruzioni residenziali non poteva comunque proseguire a questi ritmi, ma le problematiche dei mutui sub-prime hanno sicuramente intensificato gli effetti sull’economia reale. Se ci fossero stati meno prestiti a compratori sottoqualificati, il boom del settore immobiliare sarebbe stato meno robusto e nello stesso tempo la crisi sarebbe stata meno forte.
L’effetto combinato del necessario rallentamento e di una inflazione legata ai prezzi delle commodities ha messo molte banche centrali di fronte al difficile compito di formulare un giudizio su quale sia il giusto grado di facilità nell’ottenere credito. Negli Stati Uniti, la politica monetaria ha mantenuto un certo livello di facilità nel credito, E FINO AD ORA NON C’E’ STATA RECESSIONE. In parte questo è dovuto al fatto che, la presenza di tassi di interesse più alti nel resto del mondo e il deprezzamento del dollaro (fino a poco fa) ha consentito una crescita nella competitività delle esportazioni americane. Ad oggi, l’aumento delle produzioni negli Stati Uniti per i mercati dell’esportazione ha più che compensato il declino nelle attività legate al settore immobiliare, e così la crescita americana è proseguita, anche se più lentamente.
Se ci sarà una recessione negli Stati Uniti (ossia due trimestri consecutivi di PIL reale in diminuzione) è ancora oggetto di dibattito. Fino ad adesso non c’è stata, perché lo stimolo del settore dei beni commerciali ha più che compensato il freno dovuto al declino del settore immobiliare. Esiste una certa evidenza che lo stock di case invendute sta cominciando a diminuire, dal momento in cui l’offerta di nuove case è caduta in modo drastico, mentre nuovi compratori hanno cominciato ad entrare nel mercato. Inoltre, la diminuzione del prezzo del petrolio – se continuerà – dovrebbe fornire un ulteriore stimolo ai consumatori americani.
La situazione è diversa negli altri paesi. Sebbene i tassi di crescita della Cina e dell’India hanno rallentato, essi continuano a crescere rispettivamente del 10 e del 17 percento. Ma certamente in Cina e probabilmente in India, la maggior parte dei fattori che hanno portato al rallentamento sono stati interni e un certo rallentamento era necessario se si voleva evitare un’accelerazione dell’inflazione. Il rallentamento nei tassi di crescita può ridurre il tasso di aumento nella domanda di petrolio e di altre commodities, e quindi fornire un certo stimolo ai paesi importatori di petrolio, ma nello stesso momento può ridurre la loro domanda di beni di esportazione provenienti dagli altri paesi. Se tale rallentamento nei mercati emergenti dovesse comportare una significativa diminuzione nei prezzi delle commodities alcuni paesi in via di sviluppo potrebbero essere fortemente colpiti da un peggioramento nelle loro condizioni di scambio sui mercati internazionali.
Pertanto, la seconda parte dell’affermazione, ossia che la crisi dei sub-prime è stato l’unico fattore o quello predominante, nella fase congiunturale attuale, mi sembra sia in un certo senso più problematica. L’abbondanza di liquidità che ha influenzato il mercato immobiliare e la domanda di commodities in molti paesi, ha portato a una crescita ad un tasso insostenibile. La crisi dei sub-prime ha chiaramente contribuito alla situazione attuale ma non è l’unico responsabile. Se i prezzi delle commodities non fossero saliti così tanto, e le pressioni inflazionistiche fossero state più basse, le sfide con cui hanno dovuto confrontarsi i policy makers sarebbero state risolte più facilmente: le politiche di espansione del credito sarebbero state sufficiente per aggiustare la situazione. Ma con i prezzi delle commodities così alti e con numeri così elevati dell’inflazione, una maggiore facilità nella liquidità disponibile è probabile conduca ad una maggiore inflazione piuttosto che ad un maggiore output reale. Decidere su quali siano le politiche appropriate è eccezionalmente difficile.
In merito alle azioni da intraprendere, c’è sempre il pericolo – specialmente nel mezzo di una crisi – che reazioni eccessive possano portare ad adottare misure sbagliate o a spingere i possibili benefici del settore finanziario oltre ogni limite di ragionevolezza. Un insieme di misure che sembra invece appropriato è quello di insistere in una maggiore trasparenza nel concedere i prestiti da parte delle istituzioni creditizie/finanziarie nei confronti sia dei regolatori sia dei beneficiari dei prestiti. Come già menzionato, molte persone che hanno contratto un mutuo sono state confuse o hanno fatto fatica a capire che le loro condizioni di mutuo sarebbero state riaggiustate. Contemporaneamente, sembra che ci siano state molte impressioni sbagliate su quanti titoli fossero in circolazione e da chi fossero detenuti: una maggiore trasparenza sui portafogli delle varie istituzioni finanziarie avrebbe aiutato in questa situazione.
Esiste una certa evidenza che molte persone che hanno contratto mutui non hanno compreso i termini dei loro prestiti. Una maggiore istruzione per permettere di essere consumatori informati sarebbe di certo desiderabile – è sorprendente il numero di individui che non avevano capito quanto fossero vulnerabili e/o i vincoli cui venivano sottoposti. Ma una maggiore istruzione, che sicuramente migliora le condizioni di vita della gente, è una misura di lungo periodo, e comunque non è chiaro il livello di istruzione necessario per prevenire le difficoltà che hanno incontrato le persone che hanno contratto mutui sub-prime.
Negli Stati Uniti, c’è un’emergenza associata con Freddie Mac e Fannie Mae, dove devono essere prese immediatamente delle misure per l’importanza della questione. Sarebbe molto opportuno che gli azionisti non ricevessero benefici dalla soluzione di questo problema perché nel lungo periodo si determinasse una struttura più competitiva nel settore del finanziamento immobiliare. Ma al di là di questa situazione, è probabilmente meglio aspettare che sia passato più tempo in modo da comprendere gli sbagli del passato e il perchè di alcuni miglioramenti prima di avviare riforme sostanziali. Negli Stati Uniti, una questione cruciale sarà il ruolo della Federal Reserve relativamente alle agenzie di regolazione indipendenti.
Una maggiore trasparenza avrebbe ridotto la rilevanza della crisi dei sub-prime. Ma, col senno di poi, condizioni di credito più stringenti negli anni che hanno portato all’inizio della crisi avrebbero prodotto un risultato anche migliore – ed è difficile trovare una “regola” o una “riforma” che avrebbe assicurato questo risultato. Certamente in futuro i banchieri centrali controlleranno indicatori dei prezzi dei titoli relativi alla facilità della politica più attentamente di quello che hanno fatto nel passato. E, dal momento che le misure relative all’inflazione come gli indici dei prezzi al consumo o alla produzione non segnalano in modo sufficiente le sottostanti condizioni di liquidità del mercato occorrerà riesaminare le formule per l’inflation targeting.
Ogni riforma deve essere intrapresa nel pieno riconoscimento che la moneta è sostituibile: ci sono molti meccanismi che possono trasformare un gruppo di titoli in un altro. Ogni regolamentazione finalizzata ad un certo gruppo di titoli è probabilmente inefficace o inefficiente oppure entrambe le cose. La capacità dei mercati finanziari di muovere i titoli, debiti e rischi da un orizzonte temporale ad un altro e da una giurisdizione ad un altra deve costantemente essere tenuta presente.
Ma indipendentemente delle riforme che si adoperano i mercati finanziari continueranno a crescere. Nel farlo ci saranno nuovi strumenti che porteranno nuove sfide alla nostra comprensione del loro funzionamento. Noi potremo intraprendere delle azioni basandoci su quello che abbiamo imparato per mitigare la loro pericolosità e la loro frequenza, ma misure che le eliminerebbero sarebbero troppo costose per l’economia globale, anche qualora fossero disponibile.
A causa della complessità della situazione attuale – la crisi del settore immobiliare, gli alti prezzi delle commodities e le pressioni inflazionistiche – è molto difficile prevedere l’evoluzione dell’economia globale nel breve periodo. Ma in assenza di un rilevante evento geopolitico o di una nuova sorpresa nei mercati finanziari è molto probabile che il mondo crescerà più lentamente nei prossimi anni di quello che ha fatto nel periodo 2003-2007. Il rischio di una recessione è certamente maggiore di quello di una forte crescita: un consistente rallentamento nella crescita può condurre a cadute nei prezzi delle commodities che porteranno effetti negativi in diversi paesi, con un certo grado di ripercussioni globali. Ma l’evento più probabile è una crescita più lenta dato che l’eccesso di offerta nel settore immobiliare è stato assorbito, i diritti di proprietà sono stati rafforzati e la minaccia di inflazione attenuata.