La certezza del ministro Sacconi di chiudere in tempi brevi l’accordo tra Cai, la nuova compagnia che rileverà Alitalia e piloti – arenatasi immediatamente – è ben riposta. Era infatti ovvio che fossero le parti stesse interessate a una mediazione del governo, mettendo di fatto in scena quella che si può definire una pantomima: troppi e scandalosi i privilegi contrattuali di cui godono piloti e assistenti di volo di Alitalia rispetto ai loro colleghi europei, troppo draconiana la proposta avanzata dalla cordata guidata da Colaninno per essere recepita senza un irrigidimento e una rottura. Ora si dovrà mediare, limare, parlare di cifre e scontrarsi fino all’ultimo numero: alla fine, però, si siglerà. Nessuno può permettersi di fare fallire la trattativa, nessuno può permettersi il ritiro del piano Fenice e quindi la morte definitiva di Alitalia.



Altra cosa, però, è giudicare positivamente questo piano. Appare infatti macroscopico come la tanto sventagliata italianità della cordata, ovvero la possibilità di mantenere viva la compagnia di bandiera, cade di fronte a quanto scritto nella proposta di Cai: i soci della cordata, infatti, si impegnano a non uscire dalla stessa prima di cinque anni. E tra cinque anni? Chi subentrerà? Air France, forse, che già si muove per entrare con una quota di minoranza del 15 per cento come confermato dall’amministratore delegato Spinetta a Bloomberg? A quali condizioni, poi? Resta inoltre il nodo della bad company e degli aiuti di Stato, visto che tutti i debiti verranno convogliati in essa oltre al cargo e agli asset “no gain” come i velivoli avviati alla dismissione.



Ma soprattutto, ragionando in un’ottica di mercato e guardando alla scadenza dell’Expo 2015 occorrerebbe chiedersi che aria tira a Milano e dintorni rispetto alla cordata di salvatori della patria aeronautica e al futuro di Linate e Malpensa. Nel piano industriale presentato da Sea a giugno scorso, infatti, il nome di Alitalia non compariva nemmeno, visto che aveva deciso di andarsene e il futuro degli scali milanesi non dipendeva più da lei. Detto questo non si può che desumere che del destino di Alitalia in termini strettamente “lombardi” interessi poco o niente, se non di riflesso. Il piano industriale in questione copriva infatti un arco temporale di otto anni, dal 2008 al 2016, data scelta vista la presenza dell’Expo a Milano nel 2015.



Due le linee guida: prima, il contingency plan per recuperare il traffico lasciato vuoto dal de-hubbing di Alitalia entro due, tre anni. Rispetto allo scorso anno, in effetti, la compagnia di bandiera ha registrato l’82,2 per cento di passeggeri in meno su Malpensa, un dato che parla di trasloco fatto e finito. E Sea ha già recuperato più del 50 per cento di quel traffico.

Il secondo punto del piano industriale è quello che vede Malpensa tornare hub e per onorare questa mission è stato dato il via alla partnership con Lufthansa che dal gennaio 2009 porterà sei velivoli nello scalo varesino che verrà utilizzato come base e non come contatto con Francoforte. Inoltre è allo studio l’arrivo di nuovi aerei entro l’anno, compresi quelli destinati a tratte intercontinentali. Gli scenari in cui ci si muove sono quindi due opzioni tra loro contrastanti che dicono molto di ciò che sarà davvero Malpensa ma soprattutto che sanciranno il futuro di Linate: se Malpensa resta come oggi un grande aeroporto internazionale point-to-point non cambia nulla per lo scalo cittadino, se invece torna hub con l’arrivo di una grande compagnia allora è possibile che questa ponga come condizione per l’hubbing la rivisitazione delle modalità di accesso a Linate. Il che potrebbe significare una diminuzione dei passeggeri, attualmente 10 milioni: diventeranno 6,3 o 2? Nessuno può dirlo. Una cosa è certa: a Milano paiono disposti a parlare e valutare qualsiasi ipotesi ma bisogna ricordare che la materia è regolata dal decreto Bersani-bis, quindi è di responsabilità governativa non di Sea, Moratti o Formigoni.

In ambienti aeroportuali milanesi, poi, non si fa segreto di quello che sembra essere il chiaro progetto di Sea per il futuro di Linate: un city airport totalmente votato al business, quindi destinato a servizi di alta qualità ma anche alto prezzo. Nuovi lounge, boutique di grandi griffe e una ristrutturazione radicale dell’aerostazione: questi i piani per far nascere “il salotto buono” della Milano che vola e accoglie. Dentro tutto questo grande fermento intorno agli scali milanesi si colloca ora però la decisione del governo su Alitalia. L’opinione prevalente a Milano sia che questi capitani coraggiosi siano nient’altro che i poteri forti che con un po’ di soldi si prendono una società risanata, a posto, pronta a produrre ricavi mentre tutta l’immondizia viene messa da un’altra parte, nella bad company appunto. E anche l’operato del governo diciamo che non è dei più trasparenti: da un lato mette gli aiuti di Stato in una bad company e dall’altro due settimane fa ha portato in Consiglio dei Ministri una materia di tale delicatezza “fuori sacco”, ovvero senza firma degli organi legali dei vari ministeri. Quindi, il futuro di Malpensa e Linate come dipenderà dalle scelte di Alitalia? Nel piano Fenice si prevede un’unione tra AirOne e Alitalia ma non la creazione di un hub, a Malpensa dovrebbero venir riportati voli intercontinentali ma nell’ottica del point-to-point. Questa potrebbe essere stata una scelta propedeutica per l’accordo con Lufthansa che dispone di un sistema multi-hub su Francoforte, Monaco e Zurigo. Per chi bazzica l’ambiente è noto che il presidente di Sea, Giuseppe Bonomi, abbia passato tutto agosto a Milano e sia stato utilizzato dal governo come ponte verso Lufthansa. Detto questo, se come sembra l’accordo Alitalia lo farà con Air France – al momento stanno tastando il terreno esattamente come hanno già fatto con i tedeschi attraverso Bonomi – è ovvio che Sea sarà ostile e Lufthansa diventerà ancora più aggressiva. E Malpensa potrebbe diventare il quarto hub del vettore tedesco. E quel punto, però, cambieranno le dinamiche industriali e il futuro del comparto aeroportuale italiano.