Le trattative con i sindacati e con i nuovi azionisti da parte di Rocco Sabelli, l’amministratore delegato della Compagnia Aerea Italiana (CAI), la società che raccoglierà l’eredità della parte buona di Alitalia, sono ancora in corso ed un vero e proprio piano industriale non è stato ancora reso pubblico. Con queste obbligate premesse si possono effettuare alcune considerazioni per evidenziare le possibili conseguenze derivanti dal downsizing di Alitalia, dalla fusione con Air One e dalla scelta di operare con un modello organizzativo basato su sei base operative e non più sui due poli di Milano e Roma e dalla riduzione dei voli di lungo raggio, cioè degli aspetti principali che caratterizzano le iniziative industriali delle strategie di CAI.



Per comprendere gli effetti sul sistema aeroportuale si deve partire dalle quote di mercato, che nel caso del mercato domestico sono del 37% per Alitalia (AZ) e del 25% per AirOne (AP) e per i mercati internazionali da e per l’Italia per AZ solo del 15% (equivalente a quella di Ryanair) e per AP di meno dell’1%. E’ evidente che a risentire delle conseguenze saranno soprattutto gli scali a forte vocazione sui mercati domestici, in particolare quelli del Centro Sud Italia, con l’eccezione di Milano – Linate dove la quota dei due vettori è molto elevata, pari al 72%, frutto della somma del 49% di AZ e del 23% di AP. Inoltre, è da evidenziare come le scelte del piano industriale implementato nell’aprile di quest’anno abbiano già comportato una forte riduzione del ruolo di Alitalia su alcuni scali (-80% dell’offerta di AZ a Malpensa, -17% a Palermo, -16% a Catania, -13% a Venezia e Bologna, per esempio).



La riduzione del numero di movimenti frutto dell’ottimizzazione dell’utilizzo delle flotte e per ridurre le sovrapposizioni, riguarderà soprattutto due tipi di collegamento: i voli dagli aeroporti regionali verso Milano Linate e Roma Fiumicino, e i voli internazionali e intercontinentali in partenza dall’hub di Fiumicino, soggetti a forte concorrenza da parte sia di vettori low cost sia di compagnie estere in grado di offrire servizi migliori (per frequenza e comfort). Nel primo caso la razionalizzazione dell’utilizzo della flotta non porterà a riduzione dei traffici passeggeri, ma ad una minor frequenza dei voli. Ad esempio, alcuni aeroporti minori che nel corso degli ultimi anni hanno faticato a diversificare l’offerta, come Genova o Trieste, dove quasi la metà dei traffici totali sono da e per Roma, non vedranno calare i traffici passeggeri, ma le società di gestione soffriranno una riduzione dei ricavi derivanti dagli oneri aeroportuali legati ai movimenti. Nel secondo caso gli effetti saranno duplici perché verranno meno alcuni passeggeri verso quelle destinazioni, in quanto non avranno più il volo diretto, ed inoltre si ridurrà il numero di passeggeri in transito per coincidenze sullo stesso aeroporto.



In sintesi, per il passeggero del Centro Nord Italia, che dispone di un ampio ventaglio di alternative di vettori, soprattutto internazionali, e che ha già subito il processo di de-hubbing di Malpensa, le conseguenze non saranno particolarmente rilevanti. Per i passeggeri di Fiumicino e di importanti realtà del Sud (in primis Palermo, Lamezia Terme e Bari) le conseguenze dirette ed indirette (minor grado di connettività attraverso i transiti) saranno più difficili da compensare nel medio termine. Tutte le società aeroportuali, invece, rischiano dal punto di vista finanziario, visto che non è chiaro se e come potranno essere riscossi i crediti nei confronti dei due vettori.