Quello che è certo è che la Bei necessita di essere ristrutturata profondamente. L’Europa non ha bisogno di un’istituzione finanziaria che concede 21,4 milioni di euro alla Tui per costruire alberghi di lusso nelle Canarie, soldi alla Esso per un oleodotto tra Ciad e Mauritania e che presta appena il 2 per cento dei circa 50 miliardi erogati (dati 2006) al settore delle infrastrutture (tra le quali inserisce anche gli 8 milioni prestati nel 2006 alle province lombarde per la costruzione di scuole medie). La proposta del ministro dell’Economia italiano di permettere alla Bei di sostenere lo sviluppo infrastrutturale dell’Europa anche attraverso partecipazioni azionarie, parte dalla consapevolezza che darle nuovi obiettivi con nuovi strumenti è un modo renderla più forte, non più debole. Oggi, infatti, la Bei (che, è da sottolineare, non ha scopo di lucro) presta finanziamenti finalizzati alla costruzione di opere che perseguono gli obiettivi statutari.



Ma la proposta di Giulio Tremonti, accettata al vertice Ecofin di Nizza dove si è deciso di creare una commissione per approfondirla, contiene alcune contraddizioni che dovranno essere sciolte. Ovvero se l’attività della Bei dovrà concentrarsi su opere sovranazionali europee oppure nazionali. Tremonti ha parlato di grandi infrastrutture europee che «per noi vuol dire energia e nucleare». Ora: un impianto nucleare è in un Paese e rifornisce di energia quel Paese, quindi è un’opera nazionale. Il paragone con un Fondo sovrano, perciò, risulta improprio perché essi rispondono a una logica, economica o politica, unica. Nel caso dell’Eurofondo non sarebbe così, perché non sono certo che la Francia (che, insieme a Germania, Gran Bretagna e Italia, è il maggiore azionista della Bei con il 16,2 per cento) sarebbe favorevole di vedere l’Eurofondo diventare partner (per quanto sleeping) di centrali nucleari italiane che renderanno, nel lungo periodo, l’Italia meno dipendente dall’energia (nucleare) prodotta dalla francese Edf. Una cosa, infatti, è prestare finanziamenti e incassare le rate di rimborso a più imprese in diversi Paesi, un’altra è partecipare alla governance delle imprese stesse magari concorrenti tra loro che operano negli stessi settori in Paesi diversi. Questo potrebbe innescare divisioni profondissime tra i partner europei.



In secondo luogo non è chiaro se il capitale dovrebbe essere privato o pubblico. Su questo punto sono state rilasciate dichiarazioni contraddittorie. Se, cioè, al nuovo strumento finanziario (o alla Bei “nuova versione” con lo statuto modificato) dovrebbero partecipare le “Cdp” nazionali (per chi le ha) oppure se dovrebbero essere capitali interamente privati.

In ogni caso la proposta italiana guarda molto lontano e immagina un’Europa già integrata politicamente (che non è), con obiettivi comuni (che non ha, anche in economia oltre che in politica estera) e che guarda allo sviluppo comune come un bene uguale se non superiore allo sviluppo interno di ogni singolo Stato (e così non è). Ha anche il merito di scuotere il torpore europeo che non ha sfornato, a un anno e mezzo dall’inizio della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime americani, nessuna proposta di lungo respiro per reagire a una depressione economica che durerà, a seconda delle previsioni, per tutto il 2009 o anche per parte del 2010. Positivo che si discuta della proposta italiana. Meno che non abbia ricevuto il sostegno sincero e convinto dei partner europei. Evidentemente ognuno ha la sua Tui o la sua Esso da tutelare.