Per dare luogo al parto più complesso degli ultimi decenni, quello della “nuova Alitalia”, pare che ogni notte debba essere quella decisiva da almeno una settimana a questa parte.
Ma, ironia della sorte, potrebbe anche essere possibile che tutto finisca come quegli starnuti che prima solleticano silenziosi il naso, poi sembra che debbano esplodere fragorosi, ed infine…si risolvono in nulla.
Cioè: questo bimbo non s’ha da fare.
Ma perché? Proprio adesso che era arrivata la “cordata”, mentre era spuntata la “fenice”, ora che il Berlusconi-Re Mida di questi primi mesi di governo con una toccatina stava per trasformare in oro anche il malandato carrozzone della Magliana…tutto è destinato ad andare a monte?
Beh, non per menar vanto, ma dalle pagine de ilsussidiario.net lo dicevo da tempo (vedi articoli di giugno e luglio) che il vero problema di Alitalia erano i sindacati. E non stiamo nemmeno parlando di CGIL, CISL, UIL e UGL (che già formerebbero un fin troppo nutrito gruppo di rappresentanza, per un paese “normale”…) ma di sigle come UP e ANPAC (sindacati autonomi dei piloti) o AVIA e SDL (idem, ma per gli assistenti di volo).
Soprattutto i piloti sanno di poter far saltare il banco. Bonanni (CISL) dice che non capiscono che «stanno per tagliare il ramo dove sono seduti». Ma chi? Un pilota Alitalia non perde nulla. Se tira il collo allo Stato, ottiene quel che vuole (mantenimento privilegi: ore di volo, ore di riposo, paga in eccesso rispetto alla produttività ed alle medie delle altre compagnie), se fa saltare tutto e Alitalia fallisce, con il mercato aereo in una situazione di simile espansione, trova lavoro in una settimana. Alla peggio, si mette a lavorare come un normale collega europeo. Ma ben sapendo che in Italia non esistono le Margaret Thatcher, perché non provarci?
A mio parere, la farei finita con questa buffonata. Un bel “grounding” tipo Swissair e si riparte da zero. La gente comune come me è da mesi che chiede il fallimento. Si venda, in una “normale” gara, al miglior offerente e con lo Stato fuori dalle scatole. Prendiamo meno di quel che vale? Meglio che continuare a metterci i soldi dei contribuenti.
Troppi dipendenti “innocenti” ci rimettono a causa di pochi lavativi? Vero. Però intanto inizierei a quantificare i lavativi, perché se si chiudono in rosso diciannove bilanci su venti non può essere colpa di quattro gatti. E poi quando si tira troppo la corda è inevitabile che se questa si spezza ci vada di mezzo anche qualche innocente. Io credo che i più svegli (o furbi, o seri) non lavorino più in Alitalia già da un pezzo.
La compagnia finisce in mani straniere? Amen. Ho viaggiato in lungo e in largo, e ad eccezione del Milano-Roma non ho mai volato Alitalia in vita mia e sto in perfetta salute. Ce la sconquassano da ogni dove con il mondo e l’economia “global” e poi stiamo qui a mettere le bandierine tricolori sugli aerei?
Non prendiamoci in giro. L’italianità di Alitalia è sempre servita a molti solo per lavorare il minimo indispensabile prendendo il massimo possibile dello stipendio. Con l’omertosa assistenza di sindacati, enti locali, partiti politici. Uno “stipendificio” in piena regola per amici degli amici. E se i bilanci erano rosso fuoco, paga Pantalone con le sue tasse: un aumento di capitale oggi, un po’ di soldi fregati alla KLM domani, un’altra ricapitalizzazione dopodomani e la barca va. Il ridicolo Marrazzo tappezza Roma di manifesti con i patetici appelli al grido di “salviamola”. Eh sì, iniziamo a salvare Alitalia e Fiumicino, che magari mi salvo la poltrona pure io.
Alitalia è stata sfruttata da tutti per avere un lavoro a Fiumicino, alla Malpensa, alla Magliana, ma anche in uno dei tanti (troppi) palazzi che contano in Italia.
E adesso, anziché capire che da un limone spremuto all’eccesso non può più uscire del succo e cantare il logico “de profundis”, si cerca l’ennesimo accanimento terapeutico. A nostre spese, ovvio.
E Berlusconi? Perché non emula la Thatcher della lotta senza tregua ai minatori? Perché stavolta non si impunta lui e dimostra che davvero il vento in Italia è cambiato?
Ma perché ci sono di mezzo gli “sghei”, e si sa che all’argomento il Cav. è assai sensibile. La difesa della purezza dell’impresa italiana dalle avide mani degli investitori esteri? No, non regge la storia del Piave. Berlusconi ha per socio in Mediaset (e che socio) fin dal 1994 il Saudita Al Waleed Bin Talal, e credo che non più del 30% complessivo del gioiello di casa sia in mani nostrane. Quindi, se non ci tiene così tanto per le cose di casa sua, perché dovrebbe esserlo per Alitalia?
Alitalia per il Cav. era semplicemente un doppio colpo da maestro: davanti alla gente risanare una compagnia malata da vent’anni, e nel contempo far fare un affare d’oro a tanti amici del salotto buono del capitalismo italiano. E poi, si sa, a favore fatto…ci sarà sempre l’occasione per averlo reso…
Per questo, davanti ai piloti che si impuntano, Berlusconi rischia il contrappasso della doppia figura di legno: con la gente comune (alla quale aveva promesso la nuova compagnia tutta italiana) e con quella un po’ meno comune che aveva convinto a metterci i milioni nel progetto.
Ora, veniamo al dunque: se Berlusconi vuol far vedere di che pasta è veramente fatto, cerchi di chiudere le orecchie al richiamo delle sirene monetarie. Non ceda ai lazzaroni. Il suo indice di gradimento passerà dal 60 al 80% e avrà l’occasione per scaricare le colpe del fallimento su queste inutili e dannose sigle sindacali composte da quattro gatti ma che fanno danni più di Attila e Totila messi assieme.
Altrimenti siamo alle solite: le solite sceneggiate di un Paese dove il più prepotente vince sempre, e quello che ha buon senso finisce per pagare di tasca sua. Il pilota ride, l’uomo della cordata ride, il presidente di regione ride, il sindacalista ride, il ministro ride, il premier ride….Indoviniamo chi piange?