La corda si è spezzata: i sedici imprenditori coraggiosi, che avevano fondato la nuova Compagnia Aerea Italiana, hanno deciso di non accettare una trattativa che andava troppo per le lunghe con dei sindacati che hanno continuato a credere di essere i padroni di una compagnia aerea. Il filo è stato tirato ancora una volta troppo, come era già successo solo cinque mesi fa, quando il primo gruppo del trasporto aereo europeo, Air France-KLM, aveva rinunciato all’acquisto di Alitalia.
La responsabilità del fallimento certamente non è solo delle nove sigle sindacali, ma anche della politica; quella stessa politica che per troppi anni ha deciso deliberatamente di non trattare Alitalia come un’azienda su di un mercato concorrenziale, ma come il proprio “gioco” per raggiungere obiettivi ben diversi dalla redditività e dallo sviluppo del trasporto aereo.
Il fallimento dello Stato imprenditore, palesato dai continui salvataggi di una compagnia aerea non in grado di competere (ultimo il prestito ponte che doveva permettere al vettore di “sopravvivere” 12 mesi aggiuntivi), è ormai chiaro.
La concorrenza nel trasporto aereo ha evidenziato gli attori che non sono in grado di competere sul mercato e ha permesso uno sviluppo del mercato aereo italiano di più del 100% in un decennio. Alitalia oramai trasporta solo il 17% dei passeggeri italiani verso tutte le destinazioni, quando solamente nel 1997, anno della liberalizzazione europea, ne trasportava quasi il 50%.
La corda spezzata lascia ora diverse opzioni possibili; innanzitutto è necessario ricordare come il Commissario Augusto Fantozzi debba fare il possibile per mantenere in vita la compagnia. È obbligato a mettere in cassa integrazione almeno 3.000 dipendenti e a vendere gli asset non necessari alla continuazione dell’operatività aziendale.
Certamente il Commissario e gli ex amministratori delegati della compagnia aerea hanno agito con troppa lentezza, in quanto già da fine marzo, con il piano dell’ex amministratore delegato di Alitalia Maurizio Prato, quasi 40 aeromobili erano stati lasciati a terra, senza che il management dell’azienda avesse avuto il coraggio di diminuire il personale. Non sembra inoltre che l’azienda abbia venduto gli aeroplani non utilizzati, causando un mancato introito non indifferente.
Viste queste responsabilità, il Commissario ha ora il compito di cercare altri acquirenti, diversi da CAI.
La domanda che è lecito porsi è se la volontà di vendere ai “capitani coraggiosi” del Governo non abbia di fatto limitato l’entrata di nuovi acquirenti. Il ministro dell’Economia è il primo azionista di Alitalia e non sembra che il Governo abbia lasciato molto spazio a investitori stranieri col solo fine di difendere continuamente l’italianità dell’azienda.
L’italianità dell’azienda ha provocato perdite enormi per lo Stato e ha falsato il processo di privatizzazione anche durante il Governo di Romano Prodi. I paletti nella prima fase di vendita hanno fatto sì che l’asta andasse deserta e nel complesso in 22 mesi di privatizzazioni Alitalia ha bruciato circa 1,1 miliardo di Euro.
Sarebbe bene che nel processo di vendita ora entrassero i grandi gruppi internazionali che sia la classe politica che i sindacati hanno avversato in tutti questi mesi. Acquisteranno lo spezzatino Alitalia e gli asset che hanno un grande valore, quali gli slot, i terreni e gli aerei di proprietà dell’azienda. Nel frattempo il vettore ha bruciato una grande quantità di risorse pubbliche.
In Italia nulla è definitivo e quindi non è impossibile che il famoso “piano B” veda il rientro di parte dei sedici imprenditori con un appoggio molto forte di un partner internazionale.
Ultima opzione è il fallimento, visto che i soldi in cassa potrebbero non superare i 50 milioni di euro e i clienti di Alitalia evitano la compagnia per paura di perdere i loro biglietti. Il Commissario dovrebbe questa volta agire velocemente in modo da permettere all’azienda la sopravvivenza in attesa di una vendita.
Il “piano Fenice” è bruciato sia sulla propria debolezza che per le resistenze di una classe sindacale che si credeva più forte di quello che era.
La corda è stata spezzata…
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